Le 80 tonnellate degli enormi blocchi di ghiaccio, che gli artisti Olafur Eliasson e Minik Rosing hanno prelevato dalla disintegrazione della Groenlandia e sistemato in un’installazione suggestiva in place du Panthéon, si stanno progressivamente sciogliendo per le temperature miti di questi giorni a Parigi.

Al Bourget, anche il testo dell’eventuale accordo della Cop21 sta sciogliendosi, nel senso che dalla prima versione di 55 pagine, messa a punto a Bonn a metà ottobre, si è ormai passati prima a una proposta di 50 pagine e, ieri sera, a un ulteriore compromesso di 32 pagine. La notizia potrebbe essere anche buona – ci sono meno parentesi quadre, cioè in una settimana di trattative si è passati da 140 punti controversi a 75, mentre le «opzioni» si sono anch’esse dimezzate, da un po’ più di 200 a un centinaio.

Il disgelo non dovrebbe però essere esagerato: a Copenhagen, alla Cop fallita del 2009, l’ultima versione era di 3 pagine, ridotta all’osso anche a causa di un blitz della presidenza, cioè una versione alternativa redatta in segreto.

Questa tentazione esiste anche alla Cop21. Secondo le ong ambientaliste, sarebbe una sconfitta di tutti se la Francia, per ottenere a ogni costo una parvenza di successo, operasse nel segreto per un testo ridotto al minimo.

Ieri, il presidente della Cop21, il ministro degli esteri Laurent Fabius, ha lanciato l’allarme: «Non ci siamo ancora», bisogna «accelerare». Stamattina, la versione messa a punto dai 7mila negoziatori “tecnici” che hanno lavorato questa settimana dovrà essere presentata a Fabius, e da lunedì a mercoledì si terranno le discussioni a livello ministeriale per mettere mano al testo finale dell’eventuale accordo dell’11 dicembre.

Per il 12, il ministro degli Interni Bernard Cazeneuve ha accettato l’idea di una «manifestazione» – non si sa ancora in che forma – della società civile, come era stato previsto prima degli attentati (ma quella del 29 novembre era stata annullata e c’erano stati scontri e interventi violenti della polizia contro chi aveva osato sfidare la proibizione). Bisognerà «definirne le modalità» e «prevenire le violenze» dicono al ministero degli Interni.

Oggi e domani, la società civile farà le sue proposte al Village des Alternatives, a Montreuil. Ieri, Parigi ha accolto circa 700 sindaci venuti dal mondo intero, con lo scopo di esercitare una «pressione positiva» sui negoziatori, sotto la presidenza di Anne Hidalgo, sindaca della capitale, e Michael Bloomberg, ex sindaco di New York e inviato speciale dell’Onu. L’impegno per le città, che concentrano il 50% della popolazione mondiale (e il 70% delle emissioni di Co2) e dovranno tradurre a livello locale gli impegni presi dagli stati, è di operare per ridurre le emissioni di gas serra.

Il blocco, per i negoziatori al Bourget, è soprattutto sui finanziamenti.

L’articolo 6 della bozza di accordo, che tocca questo delicato tema, ha ancora 18 «opzioni» diverse, che vanno da un impegno preciso dei paesi del Nord a una versione di vaghe promesse.

I paesi del Sud chiedono impegni precisi. Nozipho Mxakato Diseko, ambasciatrice sudafricana e portavoce del Gruppo 77+Cina (in realtà conta 134 paesi), denuncia: «Il finanziamento è un obbligo legale, il sostegno dei paesi sviluppati deve compensare l’impatto delle loro emissioni storiche». E minaccia: «Niente accordo senza un finanziamento sufficiente».

A Copenaghen erano stati promessi 100 miliardi di dollari l’anno per i paesi in via di sviluppo, fino al 2020. La cifra non è stata raggiunta finora e per di più nel calcolo sono stati addizionati capitoli di «aiuti» o contributi che spesso nulla hanno a che fare con politiche di riduzione delle emissioni di Co2.

Il Sud chiede anche impegni precisi sui trasferimenti di tecnologia. Il Nord frena, chiede a paesi ormai “emersi”, come la Cina, di passare dall’altra parte e finanziare.

Il Nord dovrebbe anche accettare il principio della «differenziazione», su cui insiste il Sud, India in testa: i paesi storicamente più responsabili delle emissioni di Co2 dovranno pagare di più. Ma anche qui si ripete il problema della Cina (e non solo): oggi è una delle principali fonti di emissioni di gas serra.

Le tensioni riguardano anche altri punti: come già in passato, ci sono pochi soldi per l’«adattamento» alle conseguenze del disordine climatico per i paesi più poveri.

Di fronte ai sindaci, Hollande ha detto: «Dobbiamo agire per un periodo in cui non ci saremo». Fabius ha precisato: «Si discute per sapere se avremo un obiettivo con cifre precise per il 2050».

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