Se parlare di soluzione negoziata per la guerra in Ucraina fino a poco fa era quasi tabù, adesso il cosiddetto “piano B” è diventato grandissimo tabù. Le ultime prese di posizione dei massimi dirigenti ucraini fanno piazza pulita di ogni ipotesi possibile. Dal presidente Zelensky al ministro degli esteri Dmytro Kuleba al potente consigliere presidenziale Mykhailo Podolyak, ogni frase sembra seppellire persino l’idea di poter negoziare la fine della crudele invasione decretata dalla Russia di Vladimir Putin ormai 555 giorni fa.

«SENZA IL DONBASS e la Crimea e gli altri territori occupati non ci potrà essere una pace sostenibile in Ucraina e quindi nemmeno nell’area europea», ha detto ieri Zelensky in tele-collegamento con il Seminario Ambrosetti di Cernobbio. Una retromarcia dalle posizioni più possibiliste espresse anche di recente dal presidente ucraino, che pretende «il ritiro delle truppe russe» pure ammettendo che «questo potrà avvenire per via militare o per via diplomatica».

Oltre che sanguinosa, la via militare sembra essersi impantanata negli scarsi risultati ottenuti dalla ben rifornita e assai propagandata “controffensiva di primavera”, che giunta a fine estate ha realizzato modesti guadagni territoriali e raffreddato notevolmente gli entusiasmi di alcuni dei principali alleati occidentali, Stati uniti su tutti.

Ma non è così secondo il ministro degli esteri ucraino Kuleba che ieri, intervistato da Christiane Amanpour per la Cnn, ha negato che la controffensiva stia fallendo: «Non stiamo fallendo, stiamo andando avanti. I partner che ci stanno aiutando, Usa compresi, capiscono che le cose vanno nella direzione giusta e capiscono che non c’è nessuna tragedia, nessun tipo di rallentamento». È, ha rimarcato, «una battaglia dura».

QUANTO SIA DURA lo dice l’attuale guerra dei droni più che la lenta controffensiva. Per il consigliere presidenziale Podolyak «gli attacchi di droni sul suolo russo aumenteranno» ha detto a Sky News.

«Per quanto riguarda la Russia c’è un numero crescente di attacchi da parte di droni non identificati lanciati dal territorio della Federazione russa, e il numero di questi attacchi aumenterà, perché questa è la fase della guerra in cui le ostilità si stanno gradualmente spostando sul territorio russo», ha aggiunto, escludendo qualsiasi negoziato, che sarebbe «una capitolazione» dell’Ucraina.

L’attacco di droni martedì sull’aeroporto russo di Pskov, che ha distrutto o danneggiato quattro grandi Ilyushin-76 militari da trasporto, sarebbe partito dall’interno del territorio russo (il confine dista 700 chilometri), e altri attacchi di droni in Russia sono seguiti nella notte tra giovedì e venerdì. Mosca ha in qualche modo risposto annunciando che da ieri sono operativi i nuovi missili Sarmat, in grado di portare qualsiasi testata (anche nucleare) in ogni angolo del mondo, e non è una buona notizia.

CHIUNQUE ABBIA ipotizzato soluzioni negoziali ne è uscito con le ossa rotte, dal capo staff Nato Stian Jenssen costretto a scusarsi per aver ipotizzato cessioni territoriali ucraine, al politologo del gruppo Rand Samuel Charap sepolto di critiche per aver detto che gli interessi di Usa e Ucraina non sempre coincidono, ai politologi Charles Kupchan della Georgetown University e Richard Haass del Council on Foreign Relations attaccati con furia dopo aver scritto un pezzo su Foreign Affairs che chiedeva a Washington un piano verso il negoziato, e – peggio – incontrando successivamente il ministro degli esteri russo Lavrov. Non è il momento, viene detto. Dopo 500mila tra morti e feriti, russi e ucraini, lo sarà mai?