Giorgia Meloni ha confermato la volontà di procedere speditamente nella direzione dell’elezione diretta del presidente del Consiglio e in quella dell’autonomia differenziata. Il disegno di queste riforme tende a scardinare i fondamenti della Costituzione nata dalla Resistenza e ad avviare una nuova fase della storia repubblicana segnata da una prevalenza del potere esecutivo sul potere legislativo e giurisdizionale e sull’aumento delle diseguaglianze fra aree più ricche e aree più povere.

Meloni ha affermato che «l’elezione diretta del capo del governo non significa togliere potere al capo dello Stato». È una bufala. Se il presidente del Consiglio viene eletto a suffragio universale, la sua nomina da parte del presidente della Repubblica diventa un atto notarile. Inoltre l’articolo 88 della Costituzione prevede che il presidente della Repubblica possa, «sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse». Con la riforma invece, se per due volte il governo non riceve la fiducia del parlamento, «il presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere», il che vuol dire che non è un più un potere ma un dovere. Di conseguenza la riforma cancella due poteri fondamentali del presidente della Repubblica.

Poniamo poi che alle elezioni politiche vinca il candidato presidente del consiglio che ottiene il 33% dei voti, con un’astensione del 35%. Questi, con la riforma, avrebbe alla Camera e al Senato una maggioranza del 55%. Tale maggioranza rappresenta in realtà circa il 22% degli aventi diritto al voto. Essa potrebbe eleggere dopo il terzo scrutinio il nuovo presidente della Repubblica. Questi a sua volta nomina cinque giudici della Corte costituzionale a lui graditi; la maggioranza del parlamento nomina altri cinque giudici della Corte costituzionale. Maggioranza e presidente del consiglio eleggono così due terzi della Consulta, riducendola ad un megafono del governo. Per non farsi mancare nulla, la maggioranza potrebbe eleggere la quota di membri laici del Csm. Infine, una persona sola al comando e una maggioranza che non rispecchia la volontà popolare potrebbero ulteriormente cambiare la Costituzione in base all’articolo 138.

Elezione diretta del presidente del consiglio e maggioritario in Costituzione svuotano ulteriormente di potere il parlamento e rendono insignificanti le opposizioni. Così si cambia la natura stessa della Costituzione, trasformando la democrazia parlamentare in democrazia di investitura, come affermato nella relazione della legge.

Con questa autonomia differenziata vince l’idea per cui la competizione fra regioni è fattore di crescita, mentre la cooperazione è elemento di freno e di stagnazione. Gli effetti economico sociali saranno micidiali, differenziando i diritti dei cittadini delle zone più deboli da quelli delle zone più forti, rendendo pressoché irrimediabile il divario del Mezzogiorno e configurando definitivamente due Italie.

Tutto ciò è corredato dai comportamenti del governo: l’abolizione del reddito di cittadinanza, la negazione del salario minimo, la politica di cieco contrasto al fenomeno migratorio (accompagnata da un oggetto misterioso chiamato Piano Mattei), la recente legge di bilancio, i decreti anti-rave, Cutro, Caivano, l’attacco al diritto di sciopero, le cariche della polizia e persino l’identificazione di chi si permette di gridare «Viva l’Italia antifascista!».

Per non parlare dell’ultra-atlantismo bellicista, del faraonico progetto di riarmo made in Crosetto, dell’occupazione di tutti gli spazi nel mondo della cultura e della comunicazione.

Si evince un’idea di Stato autoritario e di società gerarchica che è il contrario del progetto costituzionale di Stato e di società. Si passerebbe perciò dalla Costituzione come rivoluzione promessa, come diceva Calamandrei, alla controrivoluzione minacciata dagli epigoni di Almirante. C’è puzza di zolfo. Quanto basta per mettere in allarme l’intero arco di forze politiche e sociali che hanno a cuore la tenuta delle istituzioni democratiche e che si riconoscono, ciascuna nella sua autonomia e nella sua visione del mondo, nel comune sentire antifascista. È tempo di resistenza costituzionale e di unità democratica oltre i confini degli schieramenti, di cuore caldo e mente fredda, di progetti di rinnovamento solidale e di pace. È tempo di nuovo antifascismo.