Un nuovo incontro questa sera, ma l’accordo appare ancora difficile da trovare. Confindustria, Cgil, Cisl e Uil si siederanno al tavolo per tentare di chiudere sul nuovo modello contrattuale cercando di limare il testo. Da parte Cgil però ieri la segreteria confederale (ribadendo quanto deciso dalla riunione dei segretari di categoria alla Conferenza di programma di Milano) ha deciso alcuni paletti molto precisi con richieste di modifica su punti qualificanti: la cancellazione di ogni riferimento all’uso dell’assegno di ricollocazione (invenzione di Pietro Ichino, introdotto nel Jobs act e che Confindustria vorrebbe allargare per gestire tutte le crisi aziendali), sulle sanzioni e procedure di raffreddamento in caso di scioperi (il Testo unico sulla rappresentanza ne demanda la definizione ai contratti nazionali ma finora nessuno l’ha normato) e sul meccanismo di calcolo degli aumenti salariali.

DIFFICILE CHE CONFINDUSTRIA accetti sebbene Cisl e Uil spingano per un accordo prima delle elezioni per dare un segnale in controtendenza contro il rischio di applicazione del salario minimo orario, proposto dal Pd.

IL MODELLO CONTRATTUALE in vigore è quello del 2009 che la Cgil di Guglielmo Epifani non sottoscrisse. Prevede in sostanza che gli aumenti salariali siano definiti dall’indice Ipca (indice dei prezzi al consumo) depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati, valore valutato più idoneo a interpretare il reale incremento del costo della vita rispetto all’inflazione programmata.

IL CROLLO DELL’INFLAZIONE< in questi anni però ha prodotto un serio problema: in caso di deflazione alcune rappresentanze imprenditoriali hanno perfino chiesto indietro i soldi degli aumenti precedenti. Il dilemma di come far aumentare i salari – necessità più volte richiamata perfino da Mario Draghi – ha portato ad arrabattarsi nelle formule: Confindustria spingeva per ancorarli al solo aumento della produttività, c’è chi proponeva di sezionare i singoli comparti produttivi valutandone l’andamento – se il settore va bene, tutti i dipendenti hanno diritto ad un premio. Alla fine il compromesso scelto è rinunciare ad un meccanismo definito lasciando semplici linee di indirizzo la cui interpretazione è demandata alle categorie.

IL PUNTO ANCORA IN BALLO è quello della suddivisione dei criteri di calcolo e la «non sovrapponibilità» delle singole voci nei due livelli contrattuali. Confindustria spinge per estendere l’uso del welfare (detassato e dunque meno costoso rispetto agli aumenti salariali diretti) e per vietare esplicitamente che le voci aggiuntive (produttività in primis) possano essere elargite sia a livello di contratto nazionale che al secondo livello (territoriale o aziendale). La Cgil invece è contraria perché la «non sovrapponibilità» ridurrebbe lo spazio per aumentare i salari, soprattutto nel rapporto tra minimi tabellari e il cosiddetto «valore punto», riferimento più importante in molti contratti.

LA TRATTATIVA FRA LE PARTI sociali va avanti dal gennaio 2016. Qualche risultato importante è già stato prodotto: Confindustria ha accettato di inserire nel testo «la misurazione della rappresentatività delle parti datoriali» per evitare i contratti pirata sottoscritti da associazioni sconosciute al solo scopo di ridurre salari e diritti dei lavoratori. Mentre sia Confindustria che Cisl hanno aperto alla richiesta di una legge sulla rappresentanza che dia applicazione «erga omnes» (per tutti i lavoratori) ai contratti nazionali sottoscritti.