«L’Italia contribuisce con 100 milioni di euro al fondo di Loss and Damage per raggiungere gli obiettivi della Cop 28» ha dichiarato ieri la premier Meloni nella seconda giornata della conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici. I passi avanti compiuti ieri in merito al fondo per risarcire i paesi vulnerabili per danni dovuti alla crisi climatica da parte dei responsabili, i più ricchi, arrivano come una vittoria e il presidente della conferenza al Jaber ha definito il momento «storico».

L’ACCORDO raccoglie i lavori della Cop 27, dove il fondo era stato già istituito, ma per il quale non erano ancora stati stanziati dei finanziamenti. I soldi arrivano con la conferenza per il clima più partecipata finora dopo anni di pressioni e lotte da parte di paesi in via d’estinzione come l’isola di Tuvalu. La gestione dei fondi è stata affidata alla Banca mondiale, una scelta osteggiata dai paesi in via di sviluppo nel timore che questa risponda agli interessi dei paesi più ricchi. Viene creato così un board composto da 26 paesi per gestire i soldi, 12 i rappresentanti dei paesi in via di sviluppo.

L’Ue si impegna a garantire complessivamente 250 milioni di dollari, gli Emirati Arabi Uniti 100, 76 il Regno unito, 17.5 gli Stati uniti. In totale saranno circa 400 milioni di euro. Emerge la necessità tuttavia di mettere in proporzione questi numeri, che a prima lettura appaiono un tesoro, o briciole se si considerano le stime dei danni causati dagli effetti del cambiamento climatico: tra uragani, siccità, perdita di raccolti costeranno 580 miliardi di dollari all’anno a partire dal 2030. Solo in Emilia Romagna l’emergenza di maggio ha provocato danni per 8.8 miliardi di euro, in Mozambico le alluvioni sono costate al paese 3 miliardi di dollari.

LA NOTIZIA dell’apertura del fondo è una chiara conferma del ruolo fondamentale che rivestono le Cop come spazio di intervento politico globale. Ma se il fondo viene istituito parallelamente a nuovi investimenti nell’industria fossile, come quello firmato dalla premier il 6 ottobre per 13 milioni con l’Adnoc – la compagnia statale petrolifera degli Emirati, guidata proprio da al Jaber, il presidente della Cop – per lo sviluppo di due giacimenti di petrolio, rischia di essere una mossa con cui si ripagano gli stessi danni che si sono creati. Un cane che si morde la coda insomma. O una mossa politica, lontana da quello che il re Carlo d’Inghilterra ha auspicato per la Cop 28 nel suo discorso: «Un punto di svolta critico per un’azione genuinamente trasformativa». Chi ha contribuito di più al fondo Loss and Damage – Italia, Germania, Francia -, sono infatti i paesi coinvolti commercialmente con Dubai.

Il Segretario dell’Onu Antonio Guterres ha riportato poi l’attenzione sugli obiettivi di decarbonizzazione con un tono solenne: «Limitare la crescita della temperatura media globale a 1.5 gradi centigradi può essere ottenuto solamente se smetteremo di bruciare ogni tipo di combustibile fossile». «Ho un messaggio per i leader delle compagnie dei combustibili fossili – ha aggiunto – la vostra strada sta invecchiando rapidamente».
Nel suo discorso Giorgia Meloni parla anche di sicurezza alimentare per l’Africa e di dieta mediterranea, ma il tema caro che le fa alzare il tono di voce e staccare gli occhi dal foglio è il chiaro riferimento al polarizzante dibattito della carne coltivata.

NON VIENE nominata esplicitamente, ma anche durante l’incontro mondiale tra i più importanti dell’anno, in cui Guterres ha sancito che «l’umanità è in bilico», e che permette a paesi che rischiano di scomparire come quelli delle isole polinesiane di avere una voce, si è tornati a guardare il proprio ombelico.