Donald Trump non è immune a procedimenti giudiziari per i crimini che avrebbe commesso mentre era presidente, cercando di ribaltare i risultati delle elezioni del 2020, incluso l’avere fomentato l’assalto a Capitol Hill. Lo ha stabilito senza ombra di tentennamento una corte d’appello federale di Washington DC, con un voto unanime dei tre giudici.

Il verdetto assesta un brutto colpo alla difesa di Trump nel caso relativo al tentativo di sovvertire il risultato elettorale, intentato contro il tycoon dal procuratore speciale Jack Smith, e contro il quale i suoi legali erano ricorsi in appello. «Nell’ambito di quest’inchiesta penale – si legge nella sentenza – l’ex presidente Trump è diventato il cittadino Trump», per cui può avvalersi di «tutte le difese di qualsiasi altro imputato, mentre qualsivoglia immunità che lo abbia protetto durante il suo mandato da presidente non lo protegge più da queste accuse». «Non possiamo accettare il principio per cui l’incarico presidenziale ponga chi l’ha ricoperto al di sopra della legge per tutto il tempo seguente».

LA SENTENZA evidenzia che, nonostante i processi giuridici abbiano naturalmente una loro patina di serietà, indipendentemente da quanto poco serie possano essere le questioni in esame, la richiesta del team legale di Trump secondo cui gli dovrebbe essere garantita l’immunità totale contro le accuse federali avanzate dal procuratore speciale Jack Smith a Washington non è stata considerata attendibile dai giudici. Tutto il caso montato, invece, è stato visto come un modo di fare slittare il processo penale a dopo le elezioni presidenziali, ed è stata respinta la tesi dalla difesa secondo cui le condotte di Trump sotto scrutinio (dalle reazioni dopo il voto del 3 novembre 2020, fino all’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021) facessero parte dei suoi «doveri ufficiali da presidente», e che perciò fossero protetti dall’immunità del ruolo. I legali del tycoon sostenevano che è possibile procedere penalmente contro un ex presidente soltanto nel caso in cui sia stato rimosso dal suo ruolo a seguito di una procedura d’impeachment, e che non si può giudicare due volte qualcuno per lo stesso reato.

SEGUENDO questa linea di difesa, la mancata condanna nel suo impeachment per la rivolta del Campidoglio implicava che non ci potessero essere ulteriori procedimenti penali per il tentato colpo di stato. Questa teoria ha lasciato scettici molti esperti legali. La corte di Washington, però, doveva ancora considerare e analizzare le argomentazioni, e offrire una confutazione dettagliata alle teorie avanzate dal team legale di Trump. Con questa sentenza la corte ha respinto l’idea che l’impeachment “fallito” di Trump sia di ostacolo al suo processo penale, smontando uno degli argomenti più ripetuti dall’ex presidente e dai senatori che lo appoggiano.
Il fatto che «l’impeachment non sia un processo penale e non possa portare a una condanna penale» suggerisce di per sé che la protezione del quinto emendamento contro la doppia incriminazione non si applichi, ha scritto la corte. La sentenza rende così più concreta la possibilità di un processo a Trump per aver tentato di sovvertire l’ordine costituzionale del Paese.
Un portavoce del tycoon ha fatto sapere che la difesa farà ora ricorso contro il verdetto. Di conseguenza tutto passerà nelle mani della Corte Ssuprema, dove siede una solida maggioranza di giudici di orientamento conservatore, di cui tre eletti da Trump.

L’EX PRESIDENTE intanto si avvicina alla nomina ufficiale del Gop per la campagna presidenziale, diventata una corsa a due contro l’ex governatrice della Carolina del Sud Nikki Haley. Dopo Iowa e New Hampshire il voto è in Nevada, dove si sono tenute ieri (troppo tardi per noi) sia le primarie che i caucus con regole diverse. Il partito repubblicano ha deciso di assegnare i delegati solo con i caucus per favorire Trump, mentre Haley parteciperà alle primarie regolate dallo stato.