È esaltante quello che sta accadendo in Cile, paese simbolo delle ferite della sinistra. Non si può infatti dimenticare l’interruzione golpista dell’esperimento politico avviatosi nel 1970 che portò con elezioni democratiche al governo la coalizione di Unidad popular capeggiata da Salvador Allende. Prima è arrivata l’elezione lo scorso 19 novembre di Gabriel Boric, 34 anni, a presidente della Repubblica grazie al Frente amplio che includeva dai neocomunisti agli ambientalisti, dai rappresentanti dei nuovi movimenti ai moderati di origine cattolica o liberale. Prima ancora c’era stata l’elezione nel maggio 2021 dell’Assemblea costituente (78 uomini, 77 donne con ampia rappresentanza delle diverse sensibilità culturali, di genere, politiche insieme alla minoranza etnica mapuche e ad altre). Quest’ultima Assemblea ha il compito di stabilire quanto prima le nuove regole istituzionali con una Costituzione. Il 21 gennaio, infine, è giunta la nomina da parte di Boric del suo governo composto a maggioranza da donne (quattordici su ventiquattro ministri).

IL CILE HA PRESO DUNQUE la rincorsa verso il cambiamento. Vuole voltare definitivamente pagina rispetto alla dittatura di Augusto Pinochet, ma anche rispetto ai governi liberisti del presidente Sebastian Piñera (2010-2014 e 2018 inizio 2022) che avevano fermato la transizione democratica avviatasi con la presidenza di Michelle Bachelet in due mandati (2006-2010 e 2014-2018). Tra le ministre, spiccano i nomi di Maya Fernández Allende (Difesa), nipote del presidente Allende suicidatosi durante il golpe dell’11 settembre 1973 (commovente la foto pubblicata in questi giorni dai giornali di tutto il mondo che ritrae la neoministra bimbetta nelle braccia del nonno); Alexandra Benado (Sport), leader del movimento gay; Izkia Siches (Interno e Pubblica sicurezza), prima autorevole medico responsabile della lotta anti Covid e poi coordinatrice della fase finale della campagna elettorale di Boric; Camila Vallejo ex leader del movimento degli studenti, deputata comunista, nominata portavoce dell’esecutivo e dell’inquilino del palazzo presidenziale della Moneda a Santiago. Sul fronte ambientalista sono di rilievo pure i nomi di Claudio Huepe Minoletti (ministero dell’Energia) e Flavio Salazar Onfray (Scienza e Innovazione) che hanno il compito di decarbonizzare il paese Per il resto, nella composizione di governo c’è armonia tra le varie componenti politiche plurali che spiegano la vittoria di Boric e rendono la nuova sinistra cilena meticcia. Cioè: femminista, ambientalista, civica, dei diritti individuali e collettivi, neosocialista, neocomunista.

Questa nuova sinistra pone la democrazia della rappresentanza al di sopra di ogni altro principio politico o ideologico. È la fiducia nella democrazia a costituire la scommessa politica innovativa che viene dal Cile di questi ultimi anni e che corregge la sottovalutazione del tema riscontrata in altre esperienze progressiste o rivoluzionarie. Qui hanno fatto scuola i movimenti contro l’aumento delle tariffe, a favore dell’economia pubblica in sanità, previdenza, servizi oltre alle rivendicazioni sull’ambiente, sull’eguaglianza sociale, sulla libertà di genere e di sesso. Questi movimenti non auspicano che si corregga semplicemente il liberismo o ci si limiti al tradizionale sfruttamento delle risorse naturali (l’estrattivismo). Come rappresentare politicamente tutto ciò in un programma di governo che punti a un inedito Stato sociale è la cifra dell’esecutivo del presidente Boric.

CONOSCENDO LA STORIA del Cile e la forza tradizionale della destra in questo paese, bisogna però fare i conti con il pragmatismo politico cercando di dividere il fronte avversario guadagnando consensi. Da qui la scelta di Mario Marcel, presidente della Banca centrale cilena, laureato in economia a Cambridge, nominato ministro del Tesoro. È il personaggio di area socialista, non iscritto a partiti o gruppi, che deve garantire l’appoggio delle componenti moderate dello schieramento che sostiene Boric in un governo che rappresenta le varie opzioni progressiste. Marcel ha dalla sua parte la conoscenza delle compatibilità con le istituzioni monetarie internazionali, il cui buon vicinato è importantissimo in tempi di pandemia e crisi economica.

Data la portata delle novità, bisognerà seguire passo dopo passo l’esperienza di governo di Boric. Con la svolta politica in Cile si può tornare agli inizi degli anni 2000, quando la sinistra in varie forme plurali – moderate o radicali – si affermava in Venezuela, Brasile, Bolivia, Uruguay, Cile, Argentina e finanche Ecuador? I fatti indicano probabilmente di sì. L’inversione di tendenza si è già vista in Perù, Bolivia, Honduras. E presto si tornerà a votare in Costa Rica (a febbraio), Colombia e Brasile. Non è detto che il Cile non parli infine anche alla sinistra italiana, come avvenne nel 1973 quando Enrico Berlinguer – dopo il golpe di Pinochet – lanciò la controversa proposta di «compromesso storico». Questa volta il contesto internazionale è tutt’altro e la sinistra dovrebbe aver imparato la lezione che a fare la differenza non è il moderatismo o il radicalismo, bensì la coerenza democratica, plurale, programmatica che può far muovere a proprio favore la bussola del consenso.