La «marea verde» si estende per tutta l’America latina. Dopo l’Argentina, dove la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza è stata approvata il 30 dicembre del 2020, potrebbe essere ora il turno del Cile.
Con 75 voti a favore, 68 contrari e 2 astenuti, la Camera dei deputati ha infatti approvato martedì, durante la Giornata di azione globale per l’aborto legale e sicuro in America latina, il progetto di depenalizzazione dell’aborto entro la quattordicesima settimana. I giochi, è vero, non sono ancora fatti: la legge dovrà passare al vaglio della Commissione per le donne e l’equità di genere ed essere poi approvata dal Senato. Ma la pressione sociale potrebbe risultare decisiva: secondo i sondaggi, non a caso, più di sette cileni su dieci sono d’accordo con la depenalizzazione.

DA QUANDO, sotto la dittatura di Pinochet, l’aborto è stato proibito senza eccezioni – come lo è ancora in El Salvador, Haiti, Honduras, Nicaragua e Repubblica Dominicana – si è dovuto attendere fino al 2017 per ottenerne la legalizzazione in caso di stupro, di pericolo per la vita della donna e di gravi malformazioni fetali. Ma già l’anno successivo le deputate progressiste avevano presentato un progetto di modifica della legge per consentire l’interruzione volontaria di gravidanza entro la quattordicesima settimana. E la lotta non si è mai interrotta da allora.
È stato però solo lo scorso gennaio che il Congresso cileno ha iniziato la discussione del progetto di riforma della legge, malgrado la decisa opposizione del governo di Sebastián Piñera. «Oggi comincia il cammino verso la depenalizzazione legale e sociale dell’aborto in Cile», aveva dichiarato la deputata progressista Maite Orsini: «Gli aborti esistono e continueranno a esistere. Dipende da noi porre fine alla persecuzione di adolescenti e donne che non hanno le risorse per abortire in clinica fingendo operazioni di appendicite».

IL 9 AGOSTO SCORSO, tuttavia, il progetto di legge aveva ricevuto il parere negativo, con 7 voti a 6, della Commissione per le Donne e l’equità di genere, la stessa che dovrà ora esaminarlo. «Non ci sono ragioni sanitarie per promuovere l’aborto al di fuori dei tre casi previsti», aveva commentato con soddisfazione il sottosegretario generale della presidenza Máximo Pávez. E ciò malgrado gli aborti clandestini siano stati calcolati dall’Istituto cileno di medicina riproduttiva tra i 60mila e i 70mila all’anno.
«A quanto pare la libertà è un privilegio per pochi e noi continuiamo a restare in fondo alla fila, combattendo contro diversi tipi di violenza. La penalizzazione e la criminalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza è anch’essa una forma di violenza di genere», ha dichiarato martedì la deputata comunista Karol Cariola, una delle firmatarie del progetto di legge, durante il dibattito parlamentare. Una discussione iniziata con la richiesta, respinta, di un minuto di silenzio per le «vittime dell’aborto» da parte del deputato di Rinnovamento nazionale Diego Schalper e terminata con l’esultanza delle deputate progressiste. «Approvata la depenalizzazione dell’aborto! Questo voto è per tutte le donne che sono state perseguitate e criminalizzate, soprattutto se povere», ha commentato su Twitter la deputata comunista Camila Vallejo.
E mentre in Cile le donne festeggiavano per lo storico voto, in tutta l’America latina – dove l’aborto è consentito senza limitazioni solo a Cuba, Guyana, Guyana Francese, Porto Rico, Uruguay e Argentina – le strade si tingevano di verde, il colore del movimento globale per la depenalizzazione dell’interruzione di gravidanza.

LA GIORNATA DI AZIONE globale per l’aborto legale e sicuro ha registrato manifestazioni ovunque, dall’Argentina al Messico, da El Salvador al Perù, dall’Ecuador alla Colombia. Con stati d’animo distinti. In Messico – dove solo 4 su 32 stati hanno eliminato il reato di aborto – grandi speranze ha suscitato la sentenza con cui la Corte Suprema federale, il 7 settembre scorso, ha dichiarato incostituzionale la legge dello stato del Coahuila che prevedeva la reclusione fino a 3 anni per «la donna che pratica volontariamente l’aborto o la persona che la fa abortire con il suo consenso».

Mentre è ancora in alto mare la lotta in El Salvador, dove l’interruzione di gravidanza è vietata sempre, anche in caso di stupro o di pericolo per la vita della madre, e persino le donne che abortiscono spontaneamente o danno alla luce un neonato morto possono andare incontro all’accusa di omicidio aggravato. Tant’è che nel 2016, di fronte alla proposta del Fronte Farabundo Martí di depenalizzare l’aborto nei casi di minaccia alla salute della madre, di stupro e di malformazione del feto, l’opposizione non solo aveva votato contro, ma aveva chiesto addirittura un inasprimento della pena fino a 50 anni.