BlacKkKlansman, l’ultimo film di Spike Lee appena uscito nelle sale Usa racconta di un operazione anti Ku Klux Klan della polizia negli anni 70 e finisce sulle immagini sgranate dei fatti accaduti l’anno scorso a Charlottesville. Lee ha intenzionalmente programmato l’uscita del film nel primo anniversario della rivolta neonazista della scorsa estate – due giorni prima della manifestazione “commemorativa” indetta per oggi a Washington dallo stesso coordinamento della destra estremista.

La marcia davanti alla Casa Bianca di questo fine settimana ufficialmente è indetta per la “difesa dei diritti civili bianchi”, riprova di come i movimenti estremisti in America siano da sempre legati alla tradizione segregazionista e di “nazionalismo bianco” che ha trovato una sponda naturale nel trumpismo grazie in particolare a ideologi suprematisti come Steve Bannon, Sebastian Gorka e Stehpen Miller e a un regime che fa della purificazione eugenetica una politica dichiarata. I fatti sanguinosi di Charlottesville rimangono una delle manifestazioni più tangibili dell’effetto perniciosamente corrosivo del trumpismo sulla società americana.

In questa torrida seconda estate trumpista l’ombra lunga di Charlottesville e dei fantasmi che ha scatenato torna quindi a gravare su un America sempre più sfinita e dilaniata da questa astiosa e caotica amministrazione.

NELLA CITTADINA della Virginia un anno fa andava in scena la più sfrontata e consistente manifestazione razzista della storia recente, un “coming out” delle frange estreme Alt right che abbandonato l’anonimato dei gruppi internet ai quali sono solitamente relegate, uscirono violentemente allo scoperto. Un summit di Ku Klux Klan, neo nazisti e “neo confederati” contrari alla rimozione delle statue degli eroi militari sudisti che degenerò presto in una fiaccolata con slogan nazional socialisti contro la sostituzione etnica. È solo il prologo.

Il giorno successivo circa 500 suprematisti vennero affrontati da una folla grande circa il doppio di anti razzisti. Le colluttazioni fra i due schieramenti degenerano in una battaglia campale per il centro della città. Ripresa da numerosi cellulari, un auto di grossa cilindrata falciò un gruppo di manifestanti anti fascisti. Il selciato rimase coperto di feriti – fra questi il corpo esanime di Heather Heyer, 32 anni venuta a manifestare contro l’odio che aveva invaso la sua città.

Il suo cadavere rimanda all’America un immagine che ricorda le vittime fra i freedom riders, studenti scesi a dar manforte ai neri impegnati nella lotta per diritti civili 50 anni prima.

Meno di un ora dopo la morte di Heyer, Trump parlò alla nazione, senza pronunciare il nome della vittima e condannando invece la violenza di «entrambe le parti», un equiparazione che vale un endorsement. A Charlottesville intanto prese la parola David Duke, leader del Ku Klux Klan (quello che Spike Lee ritrae nel suo film). «Siamo decisi a riprenderci il nostro paese», spiegò, «Esaudiremo le promesse di Donald Trump. È quello in cui abbiamo sempre creduto, è ciò per cui abbiamo votato per lui». Le dirette tv fugano ogni residuo dubbio sulle frequentazioni pericolose e le connivenze dell’amministrazione populista con l’estrema destra razzista.

CONTRO TRUMP sono insorti intellettuali accademici, militanti, esponenti civili e politici di entrambi i partiti. Nell’anno trascorso Gorka e Bannon hanno lasciato la Casa Bianca (quest’ultimo per concentrarsi sulla costruzione di un internazionale sovranista in Europa). Miller continua a dare il suo contributo alle politiche trumpiste – architettando per ultima quella della separazione delle famiglie e l’imprigionamento di bambini sul confine. Per destra estrema e Alt-right Charlottesville è stato un trionfo di visibilità anche se è tornata in seguito ad essere l’arcipelago amorfo di fazioni spesso in lotta fra di loro.

DOPO CHARLOTTESVILLE Richard Spencer teorico della “razza bianca pan-europea” noto per il comizio tenuto a Washington ed il saluto «Heil Trump» (nonché per il pugno ricevuto in diretta, diventato meme sui circuiti anti fascisti) si è dedicato soprattutto a comizi universitari puntualmente presidiati da militanti di Antifa fino a lamentarsi che «è diventato troppo difficile parlare». Altri hanno preso ad ostentare posizioni cosmeticamente “moderate”, prendendo almeno ufficialmente le distanze dal suprematismo più sfacciato e tentando il reclutamento di neri e ispanici di area complottista attorno a posizioni soprattutto nazionaliste e anti immigranti. Fra questi Gavin McInnes – fascio-hipster canadese fondatore dei Proud Boys e Joey Gibson fondatore del gruppo Patriot Prayer che si è candidato al senato per lo stato di Washington ottenendo il 3% dei volti nelle primarie della scorsa settimana.

Non è chiaro se qualcuno di questi veterani di Charlottesville abbia aderito alla manifestazione di oggi a Washington (anche se non mancherà proprio l’immarcescibile grand wizard del Kkk David Duke). Ed è garantita anche una massiccia contro manifestazione di Antifa e una coalizione di 32 gruppi antifascisti, compreso Black Lives Matter. In questo mutevole arcipelago dell’odio rimane fermo un punto: l’ammirazione e la solidarietà con Trump, fonte primaria della rinnovata energia neofascista. E si spiegano così anche le numerose candidature politiche di esponenti suprematisti alle prossime elezioni – almeno cinque – tutte ovviamente sotto l’egida repubblicana.