Autorevolmente consacrata da Sergio Fabbrini sul Sole 24 Ore del 7 giugno scorso, un’importante riforma costituzionale pare essere giunta a compimento senza che nessuno se ne accorgesse: la trasformazione del Presidente del Consiglio in Primo ministro (o Premier).

Respingendo le critiche alla governance del Pnrr sancita nel recente decreto-legge n. 77 del 2021, il politologo della Luiss spiega che «poiché il successo del Pnrr costituisce un interesse nazionale, spetta necessariamente a Mario Draghi, in quanto Premier (appunto, primus super pares) della coalizione di governo, garantirne la coerenza».

E noi, tapini, che eravamo rimasti alle distinzioni concettuali tra Presidente del Consiglio, Primo ministro e Capo del Governo, così attentamente discusse dall’Assemblea costituente e dalla dottrina, affinché – in rottura con il regime fascista – alla guida dell’esecutivo risultasse un primus inter (e non certo super) pares

Stando alla Costituzione, l’articolo 92, comma 1, costruisce il «Governo della Repubblica» come un organo costituzionale composto dal Presidente del Consiglio e dai singoli ministri, da intendersi sia come soggetti autonomi, sia come elementi che, nel loro insieme, danno vita al Consiglio dei ministri.

Così configurato, il Governo risulta, dunque, un organo complesso, le cui componenti sono poste tutte su un medesimo piano, senza che tra loro sia definita una qualche relazione di tipo gerarchico.

La stessa disciplina sulla formazione del Governo, dettata dall’articolo 92, comma 2, si preoccupa essenzialmente di sottrarre al Presidente del Consiglio il potere che più di tutti avrebbe potuto connotarne la superiorità, vale a dire la decisione sulla nomina (e sulla revoca) dei ministri, che egli si limita a proporre al Presidente della Repubblica.

Il successivo articolo 95, comma 1, assegna al Presidente del Consiglio il compito di dirigere la «politica generale» del Governo, attribuendogliene la responsabilità. Inoltre, lo incarica di mantenere l’unità dell’indirizzo politico e amministrativo e, a tal fine, gli riconosce i poteri di promuovere e coordinare l’attività dei ministri.

Questi ultimi sono, a loro volta, individuati quali responsabili, collegialmente, degli atti approvati dal Consiglio dei ministri e, individualmente, degli atti approvati dai ministeri cui sono preposti.

In tal modo, anche sotto il profilo funzionale, così come sotto quello costitutivo, emerge la complessità che connota l’organo esecutivo dell’ordinamento italiano.

Questo complesso equilibrio tra principio monocratico e principio collegiale – espressione del compromesso raggiunto, in sede costituente, tra le posizioni della Dc, favorevole al primo, e delle sinistre, fautrici del secondo – ha, nel tempo, consentito al Governo di adeguare la propria fisionomia alla variabile omogeneità politica della sua compagine.

E così, nel tempo, a Presidenti deboli si sono alternati Presidenti forti. Tuttavia, in nessun caso il Presidente del Consiglio si è ritrovato nella posizione di poter sovrastare i ministri (o, almeno, quelli a capo dei dicasteri più importanti): in nessun caso, cioè, si è trasformato in Premier.

Le regole adesso stabilite per la gestione del Pnrr si allontanano in modo preoccupante da questo quadro, assegnando al Presidente del Consiglio una centralità che mai aveva avuto in passato. E su una questione – la realizzazione del Piano nazionale di rilancio e resilienza – da cui dipende il futuro dell’Italia.

Al di là dell’intricatissima configurazione istituzionale, a spiccare sono l’ampiezza e l’intensità dei poteri sostitutivi attribuiti al Presidente del Consiglio, nei confronti delle regioni, degli enti locali e di qualsiasi altro «soggetto attuatore», e al Consiglio dei ministri, ma su proposta del Presidente, nei confronti dei ministri, non soltanto in caso di ritardo, ma anche in caso di dissenso nel merito.

Una misura che comprime sin quasi all’annullamento l’autonomia funzionale dei singoli membri del Governo.

Così trasfigurata dal decreto-legge n. 77 del 2021, la posizione del Presidente del Consiglio diventa effettivamente quella di un primus super pares: vale a dire, di un Primo ministro. Peccato, però, che la Costituzione dica altro e che, in caso di contrasto tra un atto con forza legislativa e la Costituzione, a prevalere non possa che essere quest’ultima.