Alla fine degli anni ’60 arriva a compimento la lunga battaglia, che durava da un decennio, tra il cinema italiano e la censura. Davanti all’evolvere dei costumi, le istituzioni rimangono indietro, sempre più clamorosamente scollate. La magistratura e i ministeri sono ancora pieni di figure provenienti dal fascismo, e dai primi anni ’60 non c’è quasi film, specie d’autore, che non venga colpito dalla censura del ministero o dai sequestri: Fellini, Pasolini, Visconti, Ferreri… Alla fine del decennio, quando da tempo gli schermi si sono popolati anche di film popolari con generi pieni di sesso e violenza (lo spaghetti western, i documentari sexy alla Europa di notte, quelli sensazionalistici sulla scia di Mondo cane) la tensione è giunta al culmine, e ben presto il comune senso del pudore smotta irreversibilmente.

Il 1969, in questo campo, è un anno-cerniera. Se già poco tempo prima erano passati film scandalosi come Grazie zia Bora Bora, ma anche titoli d’autore più casti come Blow Up di Antonioni, quell’anno incappano nelle maglie della censura una serie di titoli: L’assoluto naturale di Bolognini, Metti una sera a cena di Giuseppe Patroni Griffi, Puro siccome un angelo papà mi fece… monaco di Monza di Gianni Grimaldi con Lando Buzzanca, Scacco alla regina di Pasquale Festa Campanile, Femina ridens di Piero Schivazappa, Una ragazza piuttosto complicata di Damiano Damiani, Brucia ragazzo brucia di Fernando Di Leo.

Tra midcult, cinema popolare, commedia scollacciata, filone della «gioventù perduta», sono tutti titoli che hanno al centro il sesso in maniera assai più vistosa che in passato. Senza esplicita volontà di provocare, magari: il cinema prosegue per la sua strada, le istituzioni rimangono indietro. La magistratura, soprattutto: più che la censura ministeriale, infatti, sono i pretori i protagonisti di questa stagione repressiva, con raffiche di sequestri. Come ricordano Roberto Curti e Alessio Di Rocco nel loro volume Visioni proibite (Lindau 2015), solo a Roma, nel giro di una settimana, vengono sequestrati quattro film che avevano avuto un regolare visto di censura: Satyricon di Gian Luigi Polidoro con Tognazzi, il documentario Inghilterra nuda, il tedesco Confessioni intime di tre giovani spose e lo svedese Io sono curiosa.

La situazione in seno alle commissioni di censura è pesante: alcuni componenti lanciano critiche al meccanismo di concessione dei nulla osta e addirittura chiedono le dimissioni, dichiarando (è il caso del magistrato Bartolomei) che «mai come oggi la produzione cinematografica ha fomentato il malcostume fino ai più bassi. Il cinema si presenta, nel momento odierno, come pubblica scuola di prostituzione e di delinquenza: con manifestazioni sempre più pornografiche (quali si rivelano soprattutto nei frequenti rapporti omosessuali e talora incestuosi) e con sollecitazioni, sempre più accentuate, verso l’odio, la sovversione e la violenza». Forse i componenti vogliono anche smarcarsi, visto che la magistratura si fa sempre più presente. Il procuratore di Rimini, ad esempio, nel richiedere il sequestro di alcuni film aveva chiesto anche i nominativi dei componenti delle commissioni che avevano dato il visto di censura.

Ma ormai è tardi. Anche le edicole cominciano a popolarsi di pubblicazioni che possono offendere i benpensanti, e a volte in alleanza col cinema. Il marzo del 1969 esce il primo numero di Cinesex, rivista che raccoglie sotto forma di «fotoracconto a fumetti» lungometraggi dalla forte componente erotica, e addirittura aggiungendo scene o angolazioni più osée che nei film usciti. Il sesso e la violenza ammiccano fuori dalla sala, tracimano nei manifesti e nelle edicole; il comune senso del pudore diventa terreno di scontri continui, che culmineranno, alcuni anni dopo, nei due casi clamorosi di Ultimo tango a Parigi e Salò o le 120 giornate di Sodoma.