Commentando gli effetti delle piogge eccezionali in Romagna, Francesca Giordano, ricercatrice dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), invita ad allargare lo sguardo: «Dare la colpa solo al cambiamento climatico è un modo per non volerci prendere la responsabilità di quanto sta accadendo» ha detto. Fenomeni di straordinaria intensità, come quelli che hanno colpito in particolare le province di Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini «derivano da una combinazione di eventi» ha spiegato, in cui «il cambiamento climatico amplifica le conseguenze dei dissesti di un territorio molto fragile». Giordano elenca «errori legati a una gestione non attenta del territorio stesso a partire dalla insufficiente manutenzione dei corsi d’acqua fino all’eccessivo consumo di suolo».

TRA LE PIEGHE del Rapporto che ogni anno Ispra dedica al tema della impermeabilizzazione del suolo c’è una scomoda verità: in Emilia-Romagna si consuma suolo perfino nelle aree protette (più 2,1 ettari nel 2020-2021), nelle aree a pericolosità di frana (più 11,8 ettari nel 2020-2021) e nelle aree a pericolosità idraulica, dove la regione amministrata da Stefano Bonaccini – che ieri ha ribadito «ricostruiremo tutto, su questo non ho dubbi» – vanta un vero e proprio record essendo la prima in Italia per cementificazione nelle aree alluvionali. Tra il 2020 e il 2021, così, si è costruito per 78,6 ettari nelle aree ad elevata pericolosità idraulica e per 501,9 in quelle considerate a media pericolosità, oltre la metà del consumo di suolo nazionale con quel grado di pericolosità idraulica. Chi autorizza e realizza quegli interventi, in pratica, sa già che prima o poi qualcosa di grave accadrà. «Pazzesco» ha commentato Paolo Pileri, professore di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano il cui ultimo libro è L’intelligenza del suolo, su Altreconomia.

Questo contesto diventa ancor più pericoloso oggi che il Paese affronta eventi «fuori dalle serie storiche». Dal 2 e 3 maggio sono passate appena un paio di settimane di tregua, prima di una nuova valanga di pioggia. «Senza il cambiamento climatico questi eventi si sarebbero ripetuti ogni 50, 100 anni. Invece ora sono più frequenti» avverte Giordano, che poi punta il dito sulla cementificazione. Ancora tra il 2020 e il 2021 l’Emilia-Romagna è stata la terza Regione italiana per consumo di suolo, con più 658 ettari cementificati in un solo anno: significa che si è registrato oltre il dieci per cento di tutto il consumo di suolo nazionale. Questo fa sì che l’Emilia-Romagna sia arrivata ad avere una superficie impermeabile che è pari all’8,9% di quella totale, ben oltre la media nazionale che si ferma, ad oggi, al 7,1%. È sempre Ispra a ricordare che la provincia di Ravenna (quella di Faenza e di Castelbolognese, che conta migliaia di evacuati e centinaia di sfollati) è stata la seconda provincia regionale per consumo di suolo nel 2020-2021, occupando ben 114 ettari, pari al 17,3% del consumo regionale. È facile tradurre il significato di questi dati, come fa Giordano: «Si costruisce ancora in zona pericolose andando a esporre le popolazioni a un rischio». Di fronte a questi numeri avrebbe forse senso rivedere la risposta pubblica, che parla ancora di nuove infrastrutture.

L’ANALISI QUANTITIVA della Corte dei Conti, in una relazione pubblicata nel luglio del 2022 sulla gestione del rischio idraulico e del rischio alluvione ci dice che spendiamo poco in prevenzione: lo stanziamento complessivo nel periodo dal 1999 al 2019 ammonta a circa 7 miliardi di euro per un totale di oltre 6.000 progetti finanziati, mentre l’importo complessivo di richieste pervenute nel medesimo periodo – che si può considerare una stima del costo teorico per la messa in sicurezza dell’intero territorio nazionale – risulta pari a 26 miliardi di euro. Una mancata priorità confermata anche nel Pnrr, che stanzia 2,49 miliardi di euro per quella che dovrebbe essere una priorità.

UN PUNTO DI PARTENZA per affrontare il problema potrebbe essere l’approvazione della «legge contro il consumo di suolo, ferma da anni in Parlamento», che ieri è tornata a chiedere Italia Nostra. L’associazione di Antonio Cederna e Giorgio Bassani, da sempre impegnata nelle tutela del paesaggio, ha chiesto allo stesso tempo di procedere «in tempi brevi all’approvazione da parte del governo del Piano Nazionale di Adattamento Climatico e, soprattutto, dei decreti attuativi che definiscano le misure di prevenzione sul territorio». La richiesta poggia sui dati diffusi dall’Ispra, che denuncia l’occupazione dei terreni agricoli e i costi, anche economici, legati all’impermeabilizzazione. Sono definiti «costi nascosti» e stimati in 8 miliardi di euro all’anno per gli ultimi 15 anni. Di fronte ad alluvioni come quella in Romagna ciò che era nascosto diventa evidente.