Celebrare il ’68, The Birth of Youth, con spirito critico e creativo è la meta della rassegna “Vicenza Jazz New Conversations”. La XXIII edizione (10-20 maggio) ha riempito la splendida cittadina palladiana di concerti ed iniziative dal pomeriggio alla sera, in luoghi celebrati (teatro Olimpico e Comunale, la Basilica progettata da Andrea Palladio) e meno famosi (dal bar Borsa all’osteria del Cane Barbino), in un reticolo sonoro avvolgente ricco di esperti jazzmen e giovani musicisti, nuove proposte, esibizioni di studenti, momenti di riflessione.

Inevitabile, dato il tema, il confronto generazional-estetico che ha trovato un momento di alto livello nella serata del 19 maggio al teatro Olimpico, in un’indiretta tenzone tra il solo del pianista di origine armena Tigran Hamasyan ed il duo “afroamerican” Randy Weston e Billy Harper, come ha spiegato il direttore artistico Riccardo Brazzale. Intanto il luogo, ultima opera del Palladio consegnata dal figlio Silla alla città nel 1583, un teatro di suggestione unica per la possente scenografia, le fughe prospettiche, l’acustica, la maestosità unita al raccoglimento. Platea e gradinate piene per il doppio appuntamento, con pubblici sovrapposti e in parte divisi. Il trentunenne Hamasyan è sulla scena dal 2003 e la sua musica travalica l’idea di jazz: gli echi del folclore armeno, un gusto tra romanticismo e minimalismo, l’eccellenza tecnica, l’uso dell’elettronica, le formule reiterative ed una dimensione estatico-iniziatica ne fanno uno dei protagonisti della musica attuale. Il recital di Vicenza si è mosso in questa direzione, con una manciata di lunghi brani coloristici a tratti danzanti, esaltati dalla splendida cornice, che agli spettatori sono molto piaciuti.

Con il piano di Randy Weston ed il sax tenore di Billy Harper è entrata al teatro Olimpico la “Storia” del jazz, non in una versione museale ma in una vitale dimensione officiata da un pianista-compositore novantaduenne e da un saxtenorista settantacinquenne che sfidano, vincendo, le ingiurie del tempo. Tra i due c’è una lunga amicizia nata negli anni ’70 quando Weston viveva a Tangeri ed organizzava, tra l’altro, un festival di musica africana ed afroamericana. E’ stata la missione della sua vita, quella di unire la radice ai frutti, di dar vita ad un jazz che si riconnettesse alla Madre Africa in modo generativo ed in un’ampia dimensione culturale, una sorta di moderno rinascimento nero. Il concerto si è snodato per più di un’ora attingendo a qualcuno dei pezzi del loro cd The Roots of Blues (2013) ma soprattutto utilizzando brani del vastissimo repertorio del pianista, attivo dai primi anni ’50. Hi-Fly e Berkshire Blues, ad esempio, risalgono ad inizio carriera ma presto Weston ed Harper passano al “cuore” degli African Rhyhthms. Blues To Africa e Blue Moses” vengono eseguiti senza l’ossessione dello swing ma con una potente concezione ritmica. Il piano di Weston è una sintesi suprema di sonorità africane, Ellington, Monk e, nella sua totalità (che connette ritmo, melodia, armonia, improvvisazione) lascia e disegna spazi per il tenore di Harper, intriso di blues, ora ellittico ora oratorio.

Tra i due jazzisti c’è un dinamico, intenso scambio, un “call & response” profondo. Weston, a volte, è eccessivamente divagante, i finali sono sempre ipertrofici ma il loro jazz fluisce e travolge, passionale e potente, in un fiume dove la tradizione e la modernità si rigenerano nella lezione di un’Afroamerica che – attraverso il blues – incontra l’Africa, tra New York e gli Gnawa del Marocco. Il pianista sarà in concerto a Vienna e, a seguire, in una tre giorni parigina (25-27 maggio) in duo con il contrabbassista Alex Blake. Instancabile, sta scrivendo un libro sulla spiritualità africana.