La «più grande strage di italiani compiuta durante la guerra» è figlia dell’8 settembre ma non ha un numero di morti né una data di inizio precisi.

Per celebrarne gli ottant’anni a Cefalonia non ci sono state cerimonie ufficiali da parte del governo italiano. «Qualcuno dell’ambasciata verrà a ottobre ma non si sa ancora quando».

Così a ricordare le migliaia di morti della Divisione Acqui trucidati senza pietà dai tedeschi – per ordine dello stesso Hitler che chiese espressamente di «non fare prigionieri» – sono gli abitanti dell’isola e le associazioni dei partigiani e dei sopravvissuti.

Ieri è cominciata la quattro giorni del “Tre patrie fest 2023”, “programma viaggio-laboratorio” organizzato da Cidi (Centro di iniziativa democratica degli insegnanti) di Torino come corso di formazione assieme a tante associazioni a partire dalla Fondazione Cefalonia 1941/44, presieduta dal professor Costantino Ruscigno, l’Osservatorio civico europeo, l’Istituto di studi federalistici Altiero Spinelli e l’Anpi di Lecco.

A COMMEMORARE L’ECCIDIO, come tutti gli anni, è stata la popolazione locale. Perché a Cefalonia «quei giorni in cui il sangue scorreva nelle strade e nel mare e c’erano corpi di morti dappertutto non se li dimentica nessuno».

La foto che vedete è stata scattata domenica scorsa a Cefalonia, ancora piena di vacanzieri. Ritrae il vicesindaco – signor Tsilimidos – e la nutrita comunità italiana che vive sull’isola. Si trovano all’interno del monumento che sorge poco fuori da Argostoli, la capitale dell’isola un tempo colonia veneziana che l’esercito italiano controllò – dopo l’intervento dei tedeschi – dal 1941 al fatidico settembre del ’43.

LA NUOVA RECINZIONE, completata fra luglio e agosto, reca nuovo lustro a un luogo comunque fuori dalle mappe turistiche. Il marmo, la sua forma trapezioidale con al centro la croce sovrastata dalle bandiere di Italia, Grecia e Unione europea, le tante targhe con elenchi di morti lo rendono solenne sebbene siano i piccoli biglietti o mattonelle attaccate ai muri esterni a dare meglio l’idea dell’importanza degli avvenimenti.

In una con un fiore blu si legge: “S’inginocchi l’Italia davanti alla croce stesa su questi eroi che per primi hanno aperto le porte alla libertà”. Un altro ricorda un sopravvissuto: “In ricordo di Rattinghieri Ivo, superstite della 33esima Divisione fanteria di montagna Acqui, mai dimenticò i compagni qui caduti ispirando la sua vita ai principi di pace, libertà e giustizia”.

A pochi chilometri verso il faro di San Teodoro sorge poi la famigerata Casetta Rossa, dove i tedeschi compirono la maggior parte delle esecuzioni di militari italiani: oggi è una casa privata e visitarla è assai complicato.

Cefalonia, settembre 1943. Museo Nazionale della Resistenza

La memoria dell’eccidio viene portata avanti anche in pieno centro nel piccolo ma ricco museo. Un museo molto particolare anche negli orari di apertura: «Ogni sera intorno alle 20,30», recita la scritta in italiano, greco e inglese. Sul fondo giallo che sovrasta la porta finestra d’ingresso si legge: «In memoria della Divisione Acqui», sempre in tre lingue.

Tutte le sere gli italiani che abitano stabilmente sull’isola si alternano e accolgono connazionali e turisti, colpiti da quello strano luogo in mezzo allo struscio fra un negozio alla moda e un bar.

NON È PIÙ GRANDE di una stanza ed è stipato di foto e documenti appesi alle pareti. La bandiera della pace che troneggia sul tavolo rende bene l’idea dello spirito con cui è stato messo in piedi: «Il museo è aperto al pubblico grazie al volontariato dei soci e l’ingresso è gratuito».

Foto di parenti in bianco e nero, documenti del Regio Esercito, targhe, medaglie al valor militare in memoria dei caduti, cartine, mappe, ricordi di vita anche greci vengono spiegati ai visitatori – non mancano i tedeschi – con pazienza e precisione.

LA DOMANDA PIÙ FREQUENTE da parte dei turisti italiani e non è: «Quanti morti ci furono alla fine». La risposta parte sempre da una premessa: «Noi non siamo storici». Seguita dalla stima che oggi va per la maggiore tra la categoria: «Fra i 5 e 10 mila uomini».
Una indeterminatezza che rimarrà all’infinito proprio a causa dell’ordine di Hitler del 17 settembre.

Sopraffatti dall’invio di migliaia di rinforzi e dai bombardamenti degli Stukas, gli italiani si arresero il 22 settembre. Poi iniziarono le esecuzioni sommarie che negli ultimi anni gli storici hanno ricostruito aver fatto tra le 1.400 e 3.600 vittime.

I loro corpi vennero buttati nelle fosse comuni, bruciati o gettati in mare. A questo numero vanno poi sommati i morti nei trasferimenti nei campi di prigionia in Germania: due navi colpirono delle mine italiane, una fu affondata dagli alleati.

E PROPRIO SUL MANCATO intervento degli alleati si stanno concentrando le ultime ricerche storiche: Stati Uniti e Regno Unito non andarono a Cefalonia e in tutta la Grecia perché già nel settembre del 1943 le sfere di influenza erano chiare: quella zona era già assegnata all’Unione Sovietica. Per questo decisero di aspettare settimane intere per intervenire, complice anche il silenzio del governo Badoglio e dei Savoia.

Associazione Mediterranea
L’ambasciatore dovrebbe venire a ottobre. Noi italiani, come tutti gli anni, abbiamo ricordato i nostri morti assieme ai greci perché non succeda mai più

La responsabile dell’associazione Mediterraneo è Aura Muscettola. Figlia di Giuseppe, tenente medico campano della Divisione Acqui che durante l’occupazione italiana sull’isola conobbe Maria Cappatu. Galeotta fu una strana febbre. «Non le passava e allora la sua famiglia decise di contattare il medico degli italiani che lo curò e se innamorò. Lui sopravvisse all’eccidio nascosto dai greci e alla liberazione si sposarono nella chiesa di Argostoli. Poi si trasferirono in Italia. A Napoli mia madre trovò altre donne greche mogli di italiani e le frequentò, sentendosi più vicina a casa. A Cefalonia tornammo tutti gli anni e io qua conobbi mio marito greco nel 1967. L’ho sposato l’anno dopo e quel giorno mio padre disse: “Una l’ho presa a questa isola e una l’ho data”. Da allora vivo qua e ora bado ai miei nipoti, naturalmente bilingui. Mio padre non c’è più. Ho deciso di tenere vivo il ricordo suo e di tutti gli italiani morti qua perché tragedie come quella non si ripetano più».

Una storia molto più vera e normale del melenso “Il mandolino del capitano Corelli”, filmone americano del 2001 in cui gli stereotipi dominavano la scena.

«Comunque noi dell’associazione Mediterranea non apparteniamo a nessun pensiero politico», ci tiene a precisare la signora Anna, da brava figlia di militare seppure medico.

LUIGI PINTOR PIÙ VOLTE sul manifesto fu uno dei pochi giornalisti a ricordare l’eccidio di Cefalonia che considerava «la prima pagina (dopo porta San Paolo) della Resistenza». Quando nel 2001 Indrò Montanelli criticò l’allora presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi per la sua visita a Cefalonia sostenendo che “i morti erano soldati in divisa sotto le bandiere del regio esercito”, Pintor gli rispose per le rime: «Si rivolterebbero nella tomba, quei caduti, se ne avessero una. Non avevano più bandiere, non avevano più un esercito, non avevano più una patria: questi simboli che li avevano mandati a morire, si erano dileguati lasciandoli soli. Il loro re, i loro alti comandi, il loro stato, erano disertori e imboscati. Qualcuno era nascosto lì vicino, a Brindisi, a due braccia di mare: moralmente morto senza aver combattuto».