Per capire cosa significhi il governo Bolsonaro per Maria Amélia de Almeida Teles, nota come Amelinha, femminista storica e attivista dei diritti umani, basta leggere la sua biografia. Militante del Partido Comunista do Brasil in pieno regime militare, venne arrestata nel 1972 insieme al marito César e condotta alla Oban, uno degli organi di repressione più violenti della dittatura, dove venne selvaggiamente torturata dal colonnello Carlos Alberto Brilhante Ustra, quello a cui Bolsonaro ha reso omaggio durante l’impeachment contro Dilma Rousseff. Non contento, il colonnello torturatore che tanto piace all’attuale presidente del Brasile condusse i figli di Amelinha, di 4 e 5 anni, fin dentro la sala di tortura, dove la madre giaceva nuda e sporca di sangue e vomito e il padre era appena uscito dal coma.

Oggi Amelinha è una delle coordinatrici del Progetto Promotoras Legais Populares, che educa le donne nere, lesbiche, trans, detenute, indigene, immigrate, lavoratrici domestiche, prostitute, giovani e anziane alla conoscenza e all’esercizio dei loro diritti, alla lotta quotidiana in difesa della cittadinanza delle donne.

Come è nata la sua militanza femminista?

Con un padre comunista, operaio e sindacalista, la mia militanza sociale è iniziata molto presto. Ma nel Brasile degli anni ’50 e ’60 le donne erano fortemente discriminate e qualunque fosse lo spazio che miravano a occupare dovevano affrontare pregiudizi, umiliazioni e offese. Così, insieme ad altre, iniziai a cercare i modi per uscire dall’assedio patriarcale. Molte, poi, sono tornate sui loro passi, ma non io. Oggi mi sento parte del movimento femminista brasiliano, appartengo all’Unione delle donne di São Paulo e mi dedico in primo luogo al compito di aprire strade e spazi perché le donne possano vivere i molti femminismi esistenti in Brasile.

Con che spirito vi preparate a celebrare l’8 marzo?

Con tristezza e con rabbia, perché, con l’attacco ai nostri diritti fondamentali da parte dell’estrema destra, abbiamo perduto molti degli spazi conquistati con tanta fatica. E una delle conseguenze è un aumento drastico del numero di femminicidi, di stupri e di altre forme di violenza contro le donne. Per fortuna la nascita di tanti collettivi femministi ci dà la speranza che la lotta per una vita con dignità non sarà interrotta. Perché, come ha affermato la scrittrice nera Conceição Evaristo, «Hanno progettato di ucciderci, ma noi abbiamo progettato di non morire».

Dopo la vittoria di Bolsonaro, che obiettivi si pone il gruppo di donne che aveva dato vita alla campagna «Ele não»?

Gli obiettivi restano gli stessi. Continueremo a portare avanti la nostra lotta per i diritti, la giustizia, la verità, la memoria e l’autonomia. Quello che vogliamo, in fondo, è vivere libere e in pace e consentire a ogni persona di poter fare lo stesso. Non bisogna temere le sconfitte, bisogna affrontarle e riconquistare il terreno perduto.

Cosa ci si può attendere da questo governo, di fronte a dichiarazioni come quella della ministra Damares Alves: «C’è una nuova era in Brasile: il bambino veste di azzurro e la bambina di rosa»?

È in corso una guerra ideologica contro tutte le forze impegnate nella difesa dei diritti e della democrazia. La banda che è al potere ha un’agenda che ci riporta a prima della rivoluzione francese. Un’agenda oscurantista. Nella guerra contro il progresso democratico sono i nostri corpi a costituire il territorio in disputa. Ci vogliono sottrarre diritti storici: il diritto di libertà di movimento, di espressione e di organizzazione, il diritto di decidere sui nostri corpi, di essere protagoniste della nostra storia, della nostra vita e del nostro lavoro. Abbiamo spezzato gli stereotipi di sottomissione, di maternità obbligatoria, di eterosessualità compulsiva, di razzismo. Abbiamo perseguito l’autonomia, l’equità e la libertà. E ora l’attuale politica vuole sottrarci le conquiste ottenute in quasi mezzo secolo di lotta. Abbiamo difeso l’uso di tutti i colori e questa signora vuole utilizzarne solo due. Ci attendono tempi difficili, ma non possiamo cedere alla paura con cui vogliono piegarci. Questo è un governo razzista, misogino e lgbttransfobico. Ma noi sapremo resistere.

Come è cambiato il movimento femminista in Brasile?

I femminismi brasiliani sono molti e in costante cambiamento, così come sono molte le nostre rivendicazioni. Esistono contraddizioni tra noi donne a causa del razzismo, del sessismo, delle differenze generazionali, di classe sociale, di appartenenza geografica. Dobbiamo combattere le disuguaglianze sociali, razziali e di genere con la lotta politica. E affrontare la questione generazionale in maniera solidale e sororale, con affetto e umiltà. Siamo diverse grazie alle nostre individualità e questo arricchisce le nostre azioni e le nostre prospettive. C’è, è vero, una distanza enorme tra le diverse generazioni di femminismi e di femministe e questo rappresenta un ostacolo per una buona intesa. Io opero di più con le giovani, che si aggiornano più rapidamente e agiscono in maniera più creativa. Mentre le anziane non sempre dimostrano la necessaria tolleranza. Ma, come diciamo sempre nelle nostre marce dell’8 marzo, «Siamo nere, siamo bianche, siamo vecchie, siamo giovani, e tutte insieme costruiamo la nostra forza». E così cerchiamo di superare le contraddizioni esistenti tra noi.

Varie femministe latinoamericane pongono con forza l’accento sulla stretta relazione tra lo sfruttamento della donna e quello della terra. Quanto è presente l’ecofemminismo in Brasile?

In realtà fatica a imporsi nelle lotte per la sopravvivenza urbana. Le donne indigene e contadine, il cui percorso è segnato dalla lotta per la conquista delle terra, sono più presenti in questo dibattito di noi che viviamo nei centri urbani. Esiste tuttavia un’urgente necessità di approfondire questo tema, considerando come gli squilibri ecologici diventino sempre più profondi, inasprendo ulteriormente le disuguaglianze sociali nelle grandi città. Del resto la lotta femminista non può non essere anche una lotta anticapitalista.