Le ricorrenze storiche sono spazi aperti per la costruzione delle memorie. Se poi come nel caso del ’68 si tratta di memorie così distanti e spesso conflittuali, c’è motivo di credere che le «celebrazioni» del cinquantenario riproporranno sulla scena pubblica contrapposizioni note e narrazioni «sterili». Da una parte il «culto» del ’68 e dall’altra i detrattori della «rivolta», i sostenitori della continuità tra contestazione e lotta armata e del «tradimento» dei rivoluzionari di un tempo, integrati nel corso dei decenni ai più alti livelli della società.

CERCA DI SOTTRARSI a questa dicotomia l’ultimo libro di Paolo Brogi, ‘68 ce n’est qu’un début. Storie di un mondo in rivolta (Imprimatur, pp. 336, euro 16). Si tratta della testimonianza di un attore del ’68, anzi più correttamente di un insieme di racconti che ricostruiscono con dovizia di particolari (e senza mettere l’autore al centro della scena) il tumultuoso succedersi degli eventi. Brogi, giornalista e negli anni Settanta militante di Lotta Continua a Pisa, ha scritto un libro non accademico e antiretorico, che si fonda su cronache e fonti orali di una stagione internazionale.

ANCHE SE È IL MOVIMENTO studentesco italiano a fare da protagonista – le occupazioni della Sapienza a Pisa, già nel febbraio 1967, della Cattolica a Milano, di Palazzo Campana a Torino e di Sociologia a Trento – non manca lo sguardo largo su quanto accadeva nel resto del mondo: la «grande battaglia dei cocomeri» di Sanrizuka in Giappone, con le testimonianze del cineasta militante Shinsuke Ogawa, la rivolta della Columbia, la «fabbrica dei manifesti» a Parigi, ricostruita dal leader di Atelier Populaire il pittore Gérard Fromanger, senza dimenticare i focus su realtà meno note come la Turchia o il Brasile.

Tornando al contesto italiano, il libro descrive le azioni di protesta più eclatanti messe in atto dagli studenti, come l’occupazione di Sant’Ivo alla Sapienza a opera del gruppo degli «Uccelli» e quella della cattedrale di Parma, simbolo della contestazione cattolica. Sono gesti provocatori, dei quali Brogi evidenzia la natura di irriverente rottura simbolica nei confronti dell’ordine costituito, in primo luogo dell’ordine universitario. Nella lettura dell’autore il ’68 è presentato come il momento in cui finalmente si è potuto gridare che il «re è nudo» e che l’anacronismo del potere paternalista era ormai insopportabile agli occhi della nuova generazione. Nello stesso tempo, il libro non dimentica la saldatura tra questo genere d’istanze e la ripresa delle mobilitazioni operaie al termine della fase di sviluppo del decennio.

È l’«operaio-massa», spesso immigrato dal Meridione, che si prende la parola e pretende reddito (ma anche dignità), la sua giusta porzione di quella «società del benessere» che ha contribuito a costruire. La saldatura tra studenti e operai, teorizzata già nel 1967 nelle Tesi della Sapienza, trova a Pisa la sua realizzazione nelle mobilitazioni alla Marzotto e alla Saint Gobain, ma anche in altre realtà minori del circondario come l’Hernaux di Querceta, di cui Brogi ricostruisce per la prima volta le lotte.

LE PAGINE SU PISA, del resto, sono forse le più interessanti: vi si legge la passione dell’autore, che nel ’68 «non ha nessuna macchina, lavoricchia alla mensa degli studenti, e frequenta con poca diligenza la facoltà di Lettere».

L’IMPEGNO INTELLETTUALE lo esercita piuttosto tra gli scaffali della libreria Fanon, messa in piedi insieme a Guelfo Guelfi e diventata rapidamente un punto di riferimento per il movimento. Città di provincia, ma centro universitario di rilievo nazionale, Pisa è un laboratorio ideale per leggere le dinamiche del ’68, tra gli slanci teorici del potere operaio (Gian Mario Cazzaniga e Umberto Carpi, per citare due tra i principali), le lotte concrete che portano alla «manifestazione della stazione» e la repressione che colpisce violentemente il movimento in occasione dei fatti della Bussola, quasi a chiusura di quell’anno caldissimo. Brogi illustra i legami con il movimento studentesco internazionale: li testimonia la sua avventura a Berlino per il Vietnam Kongress organizzato dalla Sds di Rudi Dutschke.

AMPLIANO IL QUADRO i saggi, e soprattutto le immagini, contenute nel catalogo della mostra fotografica Il Sessantotto. Immagini di una stagione pisana, curato da Giuseppe Meucci e Stefano Renzoni (Pacini, euro 12). Le foto esposte a Palazzo Blu (fino al 7 marzo 2018) provengono dall’archivio del fotoreporter Luciano Frassi e documentano con la loro forza evocativa il movimento di protesta: dagli antefatti del 1964 – le critiche rivolte a Togliatti in Normale e la prima occupazione della Sapienza – agli scontri sui lungarni del 1972 e alla morte dell’anarchico Franco Serantini. Proprio dalle fonti è necessario prendere le mosse per comprendere il ’68 decostruendo le narrazioni che vi sono state innestate anche attraverso le testimonianze dei protagonisti.
Una nuova generazione di studiosi lo sta già facendo e la «vetrina» del 2018 potrebbe essere un’occasione da sfruttare.