Non si sa cosa è peggio nello scandalo del viaggio di un gruppo di giudici, funzionari e imprenditori nella tenuta del magnate Joe Lewes sul Lago Escondido in Patagonia, esploso poco prima della condanna di Cristina Kirchner a 6 anni di reclusione: se il viaggio in sé, gentilmente pagato dal Gruppo Clarín, o il fatto che i partecipanti a quella misteriosa gita si siano consultati su Telegram su come cancellarne le prove o, ancora, il contenuto stesso di quelle conversazioni.

Né va trascurato il fatto che la riunione sia avvenuta nella dimora del miliardario inglese amico dell’ex presidente Mauricio Macri: non solo quella paradisiaca tenuta non avrebbe mai potuto essere acquistata – la legislazione argentina vieta la vendita a cittadini stranieri di proprietà vicine alla frontiera come è quella i Lewes – ma è anche al centro di una lunga vicenda giudiziaria intorno all’accesso allo splendido lago, bloccato dal miliardario, grazie al suo pieno controllo sul potere politico locale, malgrado la giustizia gli abbia dato ripetutamente torto (l’ultima volta il 12 settembre scorso).

Su quel lago di montagna a cui la popolazione non può accedere sono però sempre benvenuti l’ex presidente Mauricio Macri e i suoi amici e alleati, compresi quelli della gita su volo privato a spese del Clarín, i quali, al loro arrivo all’aeroporto di Bariloche, il 13 ottobre, hanno trovato ad attenderli l’amministratore della tenuta Nicolás Van Ditmar, lo stesso che aveva dichiarato di essere pronto a impedire ai locali l’accesso al lago «con una Winchester in mano».

Di quel viaggio, è chiaro, non si doveva sapere nulla. Ma non è andata così: la notizia è trapelata ed è finita, il 17 ottobre, su Página 12.

Ed è allora che, per iniziativa di Pablo Casey, direttore degli Affari legali e istituzionali del Gruppo Clarín, viene creato su Telegram il gruppo degli «huemules» (rara specie di cervo originaria delle regioni andine di Argentina e Cile), costituito da tutti coloro che avevano preso parte al viaggio: i quattro giudici federali Pablo Yadarola, Pablo Cayssials, Carlos “Coco” Mahiques (il magistrato che aveva archiviato la causa sulle irregolarità nella vendita di terre a Lago Escondido, favorendo Joe Lewes) e Julián Ercolini (quest’ultimo responsabile di aver istruito il processo Vialidad contro Cristina Kirchner), il ministro della Sicurezza di Buenos Aires Marcelo D’Alessandro, il procuratore generale della stessa città Juan Bautista Mahiques, l’ex agente dell’Intelligence Leonardo Bergroth, il lobbista Tomás Reinke, il presidente del Gruppo Clarín Jorge Rendo e lo stesso Pablo Casey.

Il loro disappunto è evidente, soprattutto nei confronti di chi ritengono responsabile di aver divulgato la notizia dell’incontro: il capo della polizia di sicurezza aeroportuale (Psa), José Glinski, contro cui meditano vendetta. «Se mi capiterà mai di diventare ministro, la prima cosa che faccio è sciogliere la Psa», dice D’Alessandro. «Glinski è parte del paesaggio del mio lavoro – gli risponde Yadarola -, sono sicuro che ci incroceremo di nuovo». E ancora D’Alessandro: «Dammi la gioia di andare a cercarlo con una nostra volante che lo faccio cagare».

Le battute si sprecano in tutta la chat. Ce n’è una di Juan Mahiques – «Limpiemos un mapuche» (cioè “facciamo fuori un mapuche”), come fosse uno gioco – che Yadarola trova molto divertente, in un quadro in cui più di un mapuche – da Rafael Nahuel a Elías Garay – è stato fatto fuori dalle forze di sicurezza con la massima comprensione da parte del Clarín. E proprio i mapuche hanno molto da dire su questa vicenda: «Pensate che questi individui siano andati da Lewis per il processo contro Cristina Kirchner?», chiede il portavoce della Coordinadora del Parlamento Mapuche Orlando Carriqueo: «È possibile, ma quello che è in gioco nel Rio Negro è un affare di terre molto importante: è l’estrattivismo l’asse centrale della discussione e del conflitto con le comunità mapuche». E fa notare, Carriqueo, come la procuratrice responsabile dell’indagine sugli «huemules» sia la stessa che si sta occupando del conflitto di terre a Villa Mascardi, per il quale un gruppo di donne mapuche si trova agli arresti domiciliari.

In ogni caso, tra una battuta e l’altra, tutti assicurano di non aver fatto «nulla di male», ma intanto si ingegnano per adulterare prove, fabbricare fatture false, inventare alibi, fare pressioni sui proprietari dei giornali, presentare una denuncia per spionaggio (come poi hanno fatto), e discutono su come far sembrare che ciascuno avesse pagato per sé viaggio e alloggio, per sfuggire all’accusa di corruzione. Cayssials arriva addirittura a proporre di mentire sul luogo dell’incontro: «Posso trovare una casa a Bariloche. È di un amico che può dire di avercela prestata». E aggiunge: «Se volete, il prossimo mese ci andiamo sul serio, scattiamo una foto con lui e chiudiamo tutto». Una proposta che sembra convincere Ercolini: «Se ci si riuscisse, resterebbe solo l’idea della collusione, cioè il nulla».

Con la diffusione delle conversazioni, tuttavia, è stato impossibile arginare lo scandalo, con tutte le inevitabili conseguenze. A cominciare dalla richiesta del presidente Alberto Fernández al ministro della Giustizia Martín Soria affinché solleciti un’indagine penale sui «fatti legati al viaggio in questione, in particolare riguardo al suo finanziamento».