Il parlamento messicano ha votato affinché l’esercito continui a svolgere operazioni di «pubblica sicurezza» nelle strade fino al 2028 e non fino al 2024 come disposto nel 2006 con l’inizio della mal chiamata «guerra alla droga».
Il Messico, allora, non era il paese violento che è oggi, morti e desaparecidos non avevano indotto l’Istituto di Studi Strategici di Londra a parlare di stato di guerra non riconosciuta.

Ogni qualvolta è stato decretato lo stato d’emergenza e ed è cresciuto il numero di militari e poliziotti abbiamo visto la violenza esplodere. Stato dopo stato fino al Chiapas dove per “contenere” i flussi migratori sono stati schierati, recentemente, migliaia di effettivi della Guardia nazionale. Una presenza che ha generato fenomeni di violenza anomali per lo stato, e contestualmente fatto scoprire la presenza di gruppi del crimine organizzato prima invisibili. Con l’arrivo alla presidenza di Andrés Manuel López Obrador (Amlo) in molti e molte avevano sperato che si sarebbe messo un freno alla massiccia presenza di militari nel paese. Non è andata così.

IL VOTO DEFINITIVO in aula si è svolto lo scorso 12 ottobre, data che negli anni ha smesso di essere il giorno della scoperta delle Americhe e si è trasformata in momento di mobilitazione contro il colonialismo. I tradizionali cortei allora sono diventati occasione per dire «no alla militarizzazione». Alcuni hanno denunciato il rischio di estendere con la presenza dei militari anche le volontà non dette della war on drugs, tanto che a Città del Messico è comparsa la scritta «più potere all’esercito = più alleati per i narcos».

Per Oswaldo Zavala, docente universitario, studioso delle dinamiche militari, autore del libro La guerra en las palabras. Una historia intelectual del narco en México, «il processo di militarizzazione che stiamo vivendo ha storia e complessità molto più ampie della guerra alla droga». Secondo Zavala «è un processo di militarizzazione globale della sicurezza intrinseco all’idea di dominio neoliberista. Un processo che i governi del nord-globale hanno voluto riprodurre e imporre in tutto il pianeta. Così abbiamo visto armare e dare la possibilità di agire come forze di sicurezza alle polizie municipali e locali, con una riproduzione della violenza che colpisce maggioritariamente le categorie più vulnerabili e povere».

 

La Guardia nazionale messicane nelle strade di Tijuana (Ansa)

D’altro canto il governo di López Obrador ha dato una significativa svolta alle indagini sui casi di Ayotzinapa e di Tlatlaya che stanno portando in carcere o alla sbarra militari di alto livello. Ha rotto con la gestione di Calderon e Peña Nieto, condivisa con gli Usa, del dossier crimine organizzato portando a uno scontro, tutt’altro che retorico, sia con Trump che con Biden.

LA DEA E GLI USA HANNO DECISO di intervenire con la maldestra operazione di arresto del figlio del Chapo, Garcia Luna (colui che ideò e mise in pratica la “guerra alla droga”) e soprattutto il fermo dell’ex generale e ministro della Difesa Salvador Cienfuegos. Un’intromissione che ha fatto scattare una spasmodica difesa delle forze armate proprio da parte del governo messicano. E questo nonostante il caso Garcia Luna – come fa notare Manuel Vázquez Arellano, sopravvissuto alla notte di Iguala e oggi parlamentare di Morena – mostri con evidenza come «lo Stato messicano fosse in stretta relazione con il crimine organizzato: le indagini dimostrano come Garcia Luna trattasse e difendesse gruppi del crimine organizzato e come il presidente Calderon sapesse tutto questo. Ma anche il caso Florence Cassez vede la regia occulta di Garcia Luna e mostra come ci fossero funzionari disposti a manipolare tutto ciò era in loro potere per difendere gli affari che stavano svolgendo. Osservando Garcia Luna si può vedere lo stretto legame tra Stato e narcotrafficanti».

Secondo Associated Press «durante il suo mandato López Obrador ha lasciato un numero crescente di compiti all’esercito, tra cui la costruzione di opere emblematiche come il nuovo aeroporto della capitale e una linea ferroviaria nel sud del paese (il contestatissimo Tren Maya, ndr), la gestione di dogane e aeroporti civili e la distribuzione dei vaccini».

Il dispositivo di legge è arrivato al voto in un momento di forte dibattito sull’operato dell’esercito, poiché il caso Ayotzinapa sta mostrando come le forze armate abbiano agito congiuntamente a gruppi del crimine organizzato, e a pezzi della politica locale, nella pianificazione e azione che ha portato alla scomparsa dei 43 studenti. E anche perché, grazie a un azione hacker, sono state rese pubbliche le isteriche operazioni di spionaggio dei militari contro attiviste e attivisti politici, le costanti violenze contro le comunità zapatiste e anche la vendita di armi tra esercito e gruppi del crimine organizzato.

Ma è almeno dal massacro del 2 ottobre 1968 che in Messico ci sono campagne contro la militarizzazione del paese. Una rivista di sinistra, Porqué nel 1972 titolava: «Senza colpo di stato in Messico il potere è dei militari».

ZAVALA RICORDA che «il problema inizia alla fine degli anni ’40 quando l’esercito iniziò ad occuparsi di campagne contro la coltivazione di droghe. Poi – prosegue – c’è una accelerazione con l’applicazione del “Plan Condor” (1975-1977) e la consistente militarizzazione del cosiddetto “triangolo dorato”, regione montuosa tra gli stati di Sinaloa, Chihuahua e Durango. La militarizzazione del paese continua poi per tutti gli anni ’80 e diventa più radicale a partire dagli anni ’90 con la nascita del Cisen – Centro di investigazione e sicurezza nazionale – e la firma di accordi internazionali con gli Usa. L’esercito è cresciuto in termini di importanza, dimensione e capacità di influire nelle dinamiche interne durante le ultime quattro decadi».

Nella fotografia del potere che l’esercito ha in Messico, Zavala ricorda anche che «esiste una relazione molto complessa tra militari, economie legali e illegali e potere politico. Viviamo un processo costante di saccheggio ed espropriazione delle risorse naturali ed è il vero problema che attraversa tutti i paesi definiti dall’occidente “in via di sviluppo”. Paesi che più di altri subiscono le volontà dei grandi oligopoli transnazionali che trafficano con petrolio, gas naturale, litio, e più in generale con l’estrazione di materie prime ed energia. E cosa vediamo? Vediamo uno scontro, a volte, per il controllo di queste risorse tra stati e imprese private, ma più spesso vediamo che le risorse naturali vengono regalate alle grandi società private».

ED È PROPRIO QUI, secondo Zavala, che «si sta giocando la partita fondamentale del Messico, non nel traffico di sostanze o nella presunta guerra tra presunti cartelli. Il tema centrale è il controllo del territorio e delle risorse. Per il controllo del territorio, in Messico, si arriva a uccidere e fare violenza anche su chi fa attività sociale e si oppone allo sfruttamento di corpi e territori. È finito il tempo di pensare che politiche energetiche e di sicurezza siano due cose distinte».