Mentre il caro-energia toglie il sonno a famiglie, imprese piccole o grandi e amministrazioni pubbliche, chi ha investito in rinnovabili dorme sonni tranquilli vedendosi recapitare bollette dell’elettricità a prezzi stabili, decisamente abbordabili o addirittura remunerative.
Una famiglia di 3 persone di Signa (Firenze), grazie alla tariffa fissa prosumer con la cooperativa ènostra, ha speso a settembre per l’elettricità 74 euro (nei quali sono compresi anche 18 euro di canone Rai). “Nell’agosto del 2021 abbiamo aderito ad una raccolta fondi da investire in nuove rinnovabili di ènostra – ci spiega Manco Andrei, mostrandoci le bollette – con un investimento di 800 euro ci siamo garantiti una tariffa fissa per 5 anni fino a un consumo annuo di 1500 kW: se dovessimo superare questa quota di consumo pagheremmo la differenza sulla parte eccedente a prezzi di mercato. Dopo 5 anni, alla fine del prestito, il capitale investito ci verrà restituito. Visto quello che sta succedendo ci è andata bene”. Risparmi ancora maggiori lì ottiene chi possiede un impianto fotovoltaico abbinato ad accumuli (batterie) che consentono di auto-consumare energia fino al 70-80% e sganciarsi dalla rete del metano dopo aver elettrificato tutti i consumi. La bolletta negativa (nella foto) è di chi ha investito una quota di 20mila euro nella cooperativa WeForGreen diventando socio produttore. Il titolare, Andrea Poggio, che è anche responsabile per la mobilità sostenibile di Legambiente, spiega che in questi mesi la cooperativa “che compra all’ingrosso l’energia e la rivende ai soci, guadagna così tanto che le bollette sono diventate addirittura remunerative. La nuova povertà energetica colpisce oggi chi non ha la possibilità di accedere ai nuovi servizi di mercato”.

Anche per le grandi aziende, lo scudo al caro energia arriva dalle rinnovabili, con varie soluzioni. C’è chi ha messo distese di pannelli sul tetto, come per esempio Aeroporti di Roma a Fiumicino, oppure chi ha stipulato accordi di fornitura di energia elettrica rinnovabile a lungo termine, normalmente 20-25 anni, in gergo chiamati PPA (Power Purchase Agreement), strumenti pensati proprio per ridurre i rischi legati ai prezzi di mercato. Il costo dell’energia per chi ha questo genere di fornitura si aggira sui 60 € al megawattora (MWh), contro i 350-400 € al MWh attuali.

“I PPA sono contratti tra un fornitore che ha in portafoglio energia rinnovabile con garanzia di origine e un consumatore o distributore – spiega l’avvocato Lorenzo Parola, esperto di contratti energetici – Di questi, la formula più innovativa è quella del Corporate PPA, mutuata da prassi consolidate nel Nord Europa, dove hanno cominciato colossi come Amazon o Google. In questo caso, una società che vuole contribuire alla decarbonizzazione, contrattualizza un impianto specifico di produzione di energia rinnovabile, da costruire. Dunque, si crea un rapporto diretto tra produttore e consumatore, che serve ad agevolare il finanziamento, perché il contratto costituisce una garanzia per le banche. In Italia, questo tipo di contratti sono ancora poco diffusi perché sono pochi gli impianti pronti ad essere costruiti, con i relativi permessi. Se siamo così nelle peste della crisi energetica è anche perché ci sono stati enormi ritardi autorizzativi”.
I PPA in essere in Italia sono per ora 23, per un totale di 1,3 GW di potenza e rappresentano solo il 3% dei PPA stipulati in Europa che sono invece diffusi prevalentemente in Spagna (30%) Gran Bretagna (14%), Svezia (11%) e Germania (8%) (dati MBS PPA Database, 2017-settembre 2022).

Il prototipo dei PPA italiani è quello decennale (2022-2031) stipulato tra ERG e TIM per 3,4 Terawattora (TWh) di energia eolica che andrà a coprire circa il 20% dei consumi di TIM e al contempo consentirà anche il potenziamento (reblading) di alcuni impianti di ERG nelle province di Avellino e Potenza. Il più grande Corporate PPA è quello stipulato tra Engie e Amazon per 66 MW su terreni agricoli in Sicilia.

“C’è molto interesse per questo tipo di contratti, però dal lato dell’offerta anche qualche riserva, visto che si può vendere energia a prezzi molto più elevati – dice Virginia Canazza, di MBS consulting – I PPA sono comunque uno strumento che garantisce la bancabilità a chi vuole investire in rinnovabili, anche se oggi le banche tendono a valutare solo progetti molto affidabili, visto l’alto rischio default delle imprese. Certo è che se ci fosse molta offerta, ci sarebbe anche più competizione e prezzi più vantaggiosi. Questo si può fare se si accelera sulle autorizzazioni dei progetti delle rinnovabili”. C’è poi una terza soluzione per mettersi al riparo dalle impennate del mercato che è quella di consorziarsi per investire in rinnovabili diventando proprietari degli impianti per poi acquistare l’energia al prezzo di costo. È quella escogitata da Renewability insieme a Dolomiti energia: in questo caso, tre imprese di grandi consumatori (un’acciaieria, un’industria chimica e una farmaceutica, localizzati al Nord) hanno investito 30 milioni di euro in nuovi impianti di energia fotovoltaica (nel Centro-Sud) per poi acquistare dalla società consortile Renewability, che è a tutti gli effetti un operatore di mercato, l’energia al prezzo di 60 € al MWh. “Questa soluzione risponde non a logiche di mercato ma a una logica industriale – spiega Sarah Jane Jucker, tra gli ideatori di Renewability – È un progetto che abbiamo concepito 2 anni fa, in tempi non sospetti rispetto alla crisi energetica, per andare incontro alle esigenze di decarbonizzazione e di sostenibilità economica degli investimenti nelle rinnovabili. Oggi a queste esigenze si è aggiunta quella della sicurezza: le imprese che hanno dato vita alla società consortile si sono rese autonome e si sono assicurate la fornitura di energia, cosa che in questo momento non possiamo dare per scontata”. Compito della società consortile è quello di cercare terreni, occuparsi delle autorizzazioni o acquisire soluzioni progettuali in fase di costruzione o impianti di fonti rinnovabili appena costruiti, quindi addizionali rispetto a quelli esistenti, oltre a gestire tutti i flussi di fornitura con le aziende consorziate.

“Ci sono voluti 2 anni per costruire questo progetto che presenta aspetti legali e fiscali di una certa complessità – dice Jucker – ci auguriamo che venga replicato da altri. Noi stiamo già in fase di ampliamento: stiamo finalizzando un secondo lotto di impianti e abbiamo 100 MW da valutare. Ci tengo a precisare che sono tutti nuovi progetti, quindi addizionali, altrimenti non ci interessano e che questo meccanismo si sostiene da solo, non ha bisogno di incentivi”. Se queste soluzioni sono adatte per grandi imprese, per le piccole e medie “ha più senso ragionare a livello territoriale, quindi di Comunità di energia rinnovabile, che sono ben incentivate – conclude Jucker – noi stiamo ricevendo molte richieste da parte delle PMI e stiamo valutando cosa si può fare a livello di distretto industriale”. In attesa dei decreti attuativi che possano dare il via definitivo alle Comunità di energia rinnovabile, chi ha avviato in via sperimentale la formula può già mostrarne i vantaggi, non solo ambientali ma anche di risparmio economico. Al comune di Magliano Alpi (Cuneo, 2mila abitanti), a fronte di una spesa annua per l’elettricità del palazzo municipale di 4.469 €, il Gestore dei Servizi Energetici ha restituito 3.110 € come conguaglio per l’energia che l’impianto fotovoltaico da 20 kWp installato sul tetto ha immesso in rete, con un risparmio del 69% per le casse comunali. “Nella bolletta è compresa anche l’energia che alimenta la colonnina di ricarica delle auto elettriche, che è aperta a tutti”, dice con una certa soddisfazione il sindaco civico Marco Bailo.