Un’edizione «di rinnovamento» tra «veterani e registi emergenti»: è quello che ha promesso ieri Thierry Frémaux presentando la selezione del prossimo festival di Cannes (16-27 maggio), che come d’abitudine sarà completata da nuove entrate durante le settimane a seguire. Nel suo discorso introduttivo, la neo presidente Iris Knobloch, assicurando l’ottima collaborazione con Frémaux – «condividiamo la stessa visione e la stessa direzione» – ha messo l’accento sull’importanza della sala, dei film pensati per la sala, sul ritorno del pubblico in sala a testimoniare il desiderio di condividere quell’esperienza; una «filosofia» questa che il festival francese continua a privilegiare con l’esclusione delle piattaforme dal concorso – anche se quest’anno il film di apertura, Jeanne du Barry, è Netflix ma uscirà nelle sale francesi (in contemporanea con l’anteprima al festival), e così l’Apple di Scorsese Killers of the Flower Moon che potrebbe essere integrato in concorso.
Nessuna domanda però alla fine della conferenza stampa – chissà se per evitare questioni al centro di polemiche negli ultimi giorni in Cannes, come lascia intendere «Le Monde» alludendo alla denuncia del patron di «Mediapart», Edwy Plenel, contro Mainwenn, regista del film di apertura, per l’aggressione in un ristorante parigino e alle polemiche su Depp che ne è protagonista.

Una scena da «Jeunesse» di Wang Bing

DALLE IMMAGINI in streaming la sala appariva pienissima, come vuole l’occasione, si tratta in effetti della prima edizione nella «normalità» – con la presenza cioè di tutti i paesi del mondo dopo le restrizioni di viaggio per la pandemia. Ringraziamenti da parte del delegato artistico al gruppo di lavoro e a quelle autrici e autori che hanno sottoposto il loro film e che non sono nella selezione finale. A proposito: le «sorprese» in concorso rispetto a quanto circolava nei rumors già da un po’ sono almeno due: il film di Wang Bing, Jeunesse e Banel et Adama, l’opera prima di una giovane regista senegalese, Ramata Toulaye Sy, mentre sono scomparsi – almeno per ora- i nuovi film di Lanthimos e Payne.
Poco importa. Wang Bing è uno dei registi contemporanei più potenti, che è presente sulla Croisette con due lavori: Jeunesse, appunto in concorso e Man in Black negli Special Screenings. Il primo, che segna anche il ritorno in gara del documentario – incredibilmente escluso dai tempi della Palma d’oro a Michael Moore e al suo Fahrenheit 9/11 – segue la vita di ragazze e ragazzi cinesi ventenni che arrivano per lavorare a Zhili, un grosso centro tessile a 150 kilometri da Shangai. Il loro quotidiano, tra i dormitori comuni e le mense è scandito dal lavoro a cui si intrecciano amicizie, amori, speranze, delusioni di quei sogni che lo hanno portati lì. Man in Black guarda invece alla Cina della Rivoluzione culturale attraverso la figura di Wang Xilin, 86 anni, dissidente, tra i più noti compositori della sua generazione, vive in esilio in Germania dal 2017.

«Asteroid City» di Wes Anderson

L’ITALIA sarà in gara con tre autori, tra i prediletti dal Festival di Cannes, che rappresentano anche diverse generazioni del nostro cinema. Sulla Croisette esordisce il nuovo film di Alice Rohrwacher, scoperta alla Quinzaine col suo primo e magnifico Corpo celeste, poi due volte in concorso con Le meraviglie (Gran premio della Giuria 2014) e Lazzaro Felice (miglior sceneggiatura 2019). «Sono felice e onorata di tornare in selezione ufficiale a Cannes dopo 5 anni,un festival che mi ha visto crescere e che mi ha dato la libertà di continuare a cercare, a sperimentare. Ringrazio Thierry Frémaux e il comitato di selezione per la fiducia e tutte le persone che mi hanno accompagnata nel lungo viaggio de La Chimera», ha dichiarato la regista, che ritrova Hélène Louvart alla fotografia e Nellie Quettier al montaggio, per una storia che ruota intorno al traffico di reperti archeologici di un giovane archeologo inglese (Josh O’Connor). Nel cast anche Isabella Rossellini e Alba Rohrwacher.
Di Moretti e del suo Il sol dell’avvenire (in sala il prossimo giovedì 20 aprile) si era sicuri, il regista romano è da sempre «autore di Cannes», così come Marco Bellocchio che correrà alla Palma d’oro con Rapito, la vicenda del figlio di una famiglia ebrea di Bologna che nel 1858 viene prelevato dall’autorità papale per essere educato nel cattolicesimo.

CHE FESTIVAL sarà scorrendo i titoli (per ora in concorso 19 tra cui sei registe) non si può dire, di certo Cannes conferma le sue relazioni privilegiate con quegli autori e autrici che nel tempo hanno costruito la loro filmografia lì, passando dalle diverse sezioni – è il caso di Karim Ainouz tra le new entry della competizione con Firebrand, così come Kaouther Ban-Ania con Les filles d’Olfa e Jonathan Glazer (The Zone of interest). Anche per questo la selezione scommette nel Certain Regard sulle opere prime o seconde lasciando i «veterani» alla gara. Come Nuri Blige Ceylan (About Dry Grasses) o Ken Loach (The Old Oak). E ancora Wes Anderson (Asteroid City); Hirokazu Kore-eda (Monster); Jessica Hausner (Club Zero); Wim Wenders, Palma d’oro nel 1984 per Paris, Texas, che torna con Perfect Days, e un secondo titolo, in proiezione speciale, Le Anselm (Das Rauschen der Zeit), ritratto in 3D dell’artista tedesco Anselm Kiefer. Fuori concorso pure Steve McQueen con Occupied City, Amsterdam durante la seconda guerra mondiale attraverso gli archivi, e Klauber Mendoça Filho (Retratos Fantasmas).
Ritorni magnifici sono quelli di Aki Kaurismaki, in concorso con Fallen Leaves, e Victor Erice fuori concorso con Cerrar los oios. La Francia punta su Catherine Breillat (L’Eté dernier), Justine Triet (Anatomie d’une chute), Tran Anh Hung – La Passion de Dodin-Bouffant, protagonisti Juliette Binoche e Benoît Magimel.