«Da oggi comincia una guerra via per via, negozio per negozio, quartiere per quartiere, città per città. Via gli spacciatori, la droga fa male». Chi parla è il Ministro dell’Interno Salvini, l’oggi o le misure previste per questo rigurgito proibizionista non sono (per ora) noti.

Ferma restando la necessità della Lega di distrarre l’opinione pubblica dalle vicissitudini giudiziarie di molti suoi esponenti, non è la prima volta – né sarà l’ultima – che Salvini rilancia, anche se per ora sempre a chiacchiere, l’italica guerra alla droga. E lo fa applicando in pieno lo storico armamentario proibizionista: mischiare quanto legale con quanto illecito, elevare a norma aneddoti drammatici difficilmente verificabili, lanciare allarmi sulla pericolosità dei consumi senza differenziare tra sostanze, non citare studi sui rischi e danni permanenti che le «droghe» potrebbero comportare, lanciare la parola d’ordine che «non si può abbassare la guardia» e che «vinceremo!».

Se a destra persiste questa sistematica manipolazione di mezze verità – Forza Italia e Fratelli d’Italia sono compatti su questi temi -, dall’altra, sia che si tratti dei 5 Stelle o del «rinnovato» Partito Democratico, il silenzio è la risposta ufficiale: «abbassare i toni». Tutti sedicenti «anti-proibizionisti» senza alcuna proposta o lotta politica riformatrice.

Quando, non senza qualche problema logico, alla fine si arriva a decifrare cosa Salvini stia proponendo, ci troviamo di fronte al classico messaggio da «stato di polizia».

Un membro del governo ritiene che qualcosa abbia da fare e quindi usa quanto di sua (teorica) competenza, le forze dell’ordine, per dare seguito fattivo ai suoi ordini senza considerare il rispetto della Legge o delle procedure.

Certo nessun governo dal 1990 ha messo mano alla legge sulla droga, come nessun esecutivo negli ultimi 30 anni ha modificato il Divieto di Accedere alle manifestazioni Sportive, Daspo, arrivando a consegnare a polizia e prefetti ampi margini di manovra per gestire fenomeni lontani dalle pericolosità paventate, ma qui stiamo parlando della chiusura manu militari di negozi con regolare licenza in virtù di una legge nel 2016, che anche la Lega ha votato, e che consente la commercializzazione di prodotti a base di cannabis per «uso tecnico o da collezione».

Tra l’altro alla Camera sono in corso audizioni per chiarire quale in effetti sia la destinazione d’uso di questi prodotti, mentre per il 31 maggio è attesa una decisione della Cassazione in merito alla possibile «frode in commercio» avanzata da alcuni.

«Ringrazio le forze dell’ordine e la magistratura per la chiusura di cannabis shop a Macerata, Porto Recanati e Civitanova Marche su decisione della Questura. Sono sicuro che il ‘modello Macerata’ può essere replicato con successo in tutta Italia».

Ecco, il «modello Macerata» l’abbiamo già visto in azione, per l’appunto alla vigilia di altre elezioni, un modello che prevede da una parte chi fomenta l’odio, senza prendere chiaramente le distanze dalla violenza che ne segue, e pratica la mistificazione politica miscelando fatti marginali con banali e bieche malvagità, dall’altra l’immobilismo di chi non si assume la responsabilità di opporsi (anche in piazza) o proporre riforme radicali di fronte a leggi criminogene come quelle sulle «droghe».

Contro questo stato di cose occorre la politica e non la comunicazione o «abbassare i toni», occorre chiarire quali siano le proposte per governare fenomeni antichi, globali e complessi ma, soprattutto, occorre praticare il modello di Stato che si vuole perseguire sempre e comunque.