Che c’entra il Pnrr con l’aborto? Nulla in realtà. Secondo la Commissione Ue, l’emendamento al decreto Pnrr proposto da FdI per l’inserimento dei movimenti pro-vita nei consultori non è legato al piano di ripresa e resilienza italiano. Che tradotto significa: è fuori posto.

LA SENTENZA SEGUE la domanda di un giornalista italiano di base nella capitale europea rivolta a Veerle Nuyts, portavoce agli Affari economici dell’esecutivo von der Leyen. È passato da poco mezzogiorno, quando esplode il caso, al momento della conferenza stampa quotidiana a Palazzo Berlaymont.

Nuyts ha spiegato che sebbene l’atto legislativo contenga misure relative alla struttura di governance del Pnrr, effettivamente connesse al piano di risanamento italiano, «altri aspetti non lo sono. In particolare, quello sull’aborto». Così, dopo giorni di accesa discussione (italiana ed europea) sul tema, la risposta della Commissione suona come una bocciatura di Roma da parte di Bruxelles. L’ennesima sul tema dei diritti, dopo che solo la scorsa settimana l’Europarlamento aveva approvato una risoluzione, per quanto non vincolante, per invitare il Consiglio europeo a includere l’interruzione volontaria di gravidanza nella carta dei diritti fondamentali dell’Ue.

NELLA RISOLUZIONE era compreso un esplicito richiamo all’Italia per la costante erosione di un diritto sempre più difficile da esercitare nel nostro sistema sanitario a causa del comportamento dei medici obiettori e degli ostacoli frapposti per decisione delle singole regioni. Il testo chiedeva anche lo stop dei finanziamenti ai gruppi anti-abortisti e pro-vita, che da parte loro non l’avevano presa troppo bene.

SUL VERSANTE EUROPEO, il nervosismo di Roma si era già fatto sentire. Giovedì, a margine del summit dei leader a Bruxelles, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva polemizzato a distanza con la ministra spagnola Ana Redondo. La responsabile di Madrid all’Uguaglianza da X aveva accusato l’Italia di «strategia intimidatoria dell’estrema destra» contro le donne e la leader FdI aveva replicato: «Se si è ignoranti, almeno si taccia».

Poi, attaccando «chi dà lezioni da fuori» e «diffonde fake news» sul suo operato «che poi rimbalzano all’estero», Meloni ha sostenuto che l’emendamento presentato nel decreto Pnrr ricalca esattamente lo spirito della legge 194. «Penso che per garantire una scelta libera si debbano avere tutte le informazioni e le opportunità del caso. Questo è quello che prevede la legge 194 e penso che sia la cosa giusta da fare».

SUL VERSANTE ITALIANO il diluvio di reazioni è arrivato ieri, dopo il pronunciamento della Commissione Ue. Collimano con quelle di Meloni le parole del portavoce di Pro Vita & Famiglia Jacopo Coghe, che invita le istituzioni europee a non farsi influenzare dalle fake news diffuse dalla sinistra italiana: «Non è vero che l’emendamento sulla collaborazione tra consultori e associazioni di sostegno alla maternità non c’entri col Pnrr», afferma, «visto che proprio la Missione 6 Salute del Pnrr prevede la realizzazione di strutture di prossimità per l’assistenza sanitaria territoriale, le cosiddette Case della Comunità, compresi i servizi dei consultori».

Riccardo Magi, segretario di +Europa parla al contrario di uso approssimativo e improprio dei fondi Pnrr e definisce l’atteggiamento del governo «un’offesa alle donne, alla libertà e alla dignità». Non difformi, per una volta, le reazioni di Pd, Avs e M5S, convinti della bontà del richiamo da parte di Bruxelles. «Inutile avere una premier donna, se non difende i diritti», affonda poi la dem Chiara Braga, mentre il verde Bonelli stigmatizza come «inaccettabile» la volontà della maggioranza far entrare nei consultori gli anti-abortisti e gli integralisti religiosi.

NEL PROSSIMI GIORNI il decreto legge Pnrr approderà in aula al Senato, dove da ieri è incardinato in commissione Bilancio. E dopo aver creato una crepa nella maggioranza alla Camera, con 15 leghisti e un forzista astenuti su un emendamento Pd in favore del diritto all’aborto, i dem annunciano azioni analoghe a Palazzo Madama.