Di adeguarsi alla sentenza «Cappato – Dj Fabo» con la quale la Corte costituzionale nel 2019 riconobbe il diritto di un malato terminale, in determinate condizioni, a porre fine alle proprie sofferenze con il suicidio medicalmente assistito, il governo Meloni proprio non ne vuole sapere. Così il 12 aprile scorso la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero della Salute hanno impugnato davanti al Tar dell’Emilia-Romagna, tramite l’avvocatura di Stato, le delibere con le quali la Regione ha tentato di riempire il vuoto normativo lasciato dal pronunciamento della Consulta. In attesa di una legge regionale, la Giunta di Stefano Bonaccini infatti a febbraio, con due distinte delibere, ha istituito il Comitato regionale per l’etica della clinica (Corec), chiamato a dare un parere non vincolante sulle richieste dei pazienti, e ha dato «Istruzioni tecnico operative per la verifica dei requisiti previsti dalla sentenza della Corte Costituzionale 242/2019 e delle modalità per la sua applicazione», inviando alle Asl le linee guida che stabiliscono iter e tempistiche dell’intervento medico pubblico sul fine vita: massimo 42 giorni dalla domanda del paziente alla eventuale esecuzione della procedura con il farmaco letale.

IL RICORSO CON IL QUALE Meloni e il ministro Schillaci chiedono l’annullamento delle delibere segue in realtà la via già aperta dalla consigliera regionale di FI, Valentina Castaldini, con un esposto nel quale aveva addotto tra le motivazioni la presunta «carenza di potere dell’ente» sul tema «e la contraddittorietà e l’illogicità delle motivazioni introdotte nelle linee guida inviate alle aziende sanitarie». In particolare però, nelle 19 pagine firmate dai quattro avvocati di Stato, viene messa in discussione la legittimità dei nuovi Corec in quanto non risponderebbero «all’esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire sul territorio nazionale l’uniformità della disciplina dettata per i rapporti tra privati». Ma soprattutto viene sottolineato il pericolo che sul territorio si possano avere diverse «possibili interpretazioni della nozione di “trattamenti di sostegno vitale”».

ED È PROPRIO SUL TEMA del sostegno vitale (uno dei requisiti richiesti dalla Consulta) che si pronuncerà di nuovo a giugno la stessa Corte costituzionale, chiamata dal tribunale di Firenze sul caso del 44enne «Massimiliano», morto nel dicembre 2022 in una clinica svizzera con il supporto dell’associazione Coscioni.

È un «ricorso ideologico», secondo la segretaria del Pd Elly Schlein che incoraggia: «Bene l’Emilia-Romagna che attua la sentenza della Corte Costituzionale sul diritto importante a un fine vita dignitoso. Facciamo una legge in Parlamento». Per Bonaccini «il governo fa campagna elettorale sulla pelle delle persone. Anziché preoccuparsi di dare una legge al Paese e alle persone che vivono in condizioni drammatiche sceglie addirittura di boicottare l’Emilia-Romagna che attua la sentenza dalla Corte Costituzionale». Il ricorso, afferma la capogruppo Avs alla Camera Luana Zanella, «è un atto di pura arroganza» e «il governo sta mortificando chi soffre».

MA C’È ANCHE CHI, come Filomena Gallo e Marco Cappato, leader dell’associazione Coscioni, avrebbero preferito «che la Regione seguisse la strada della legge regionale, non della delibera di Giunta, proprio per dare maggiori certezze e garanzie alle persone che soffrono. Su questo – scrivono – prosegue la nostra campagna a sostegno della legge “Liberi subito”, che impone alle Asl di verificare entro 20 giorni le condizioni dei pazienti». Cappato e l’avvocata Gallo si augurano che «il ricorso del governo potrà essere l’occasione per confermare» che «la competenza delle Regioni è evidente, perché legata alla responsabilità di gestione del sistema sanitario e comunque stabilita dall’art. 117 della Costituzione». D’altronde, ricordano, «le competenti Asl sia della Regione Marche che del Friuli Venezia Giulia sono state in passato condannate dai Tribunali per non avere dato seguito alla richiesta di aiuto medico alla morte volontaria».