Fu la giornata d’uno scrutatore quella vissuta da Italo Calvino in occasione dell’incontro di calcio Italia-Inghilterra. Disputatosi a Torino nel maggio del 1948, per sancire la pace tra i due Paesi dopo la seconda guerra mondiale, il match finì 4 a 0 a favore degli inglesi, allora ritenuti ancora i maestri del calcio mondiale. Redattore a l’Unità di Torino, Italo Calvino era poco incline a trattare lo sport, ma era particolarmente interessato a scrutare il pubblico. Non aveva neanche la stoffa per lavorare nel commercio, preciserà anni dopo, perciò scelse il mestiere del giornalista e successivamente quello dello scrittore.

La partita Italia-Inghilterra aveva richiamato un grande pubblico da ogni parte d’Italia, ma i biglietti non erano sufficienti per tutti, perciò molti rimasero fuori dallo stadio. In tanti vissero e commentarono dall’esterno i boati dei più fortunati che poterono seguire la partita, altri si riversarono nei bar dei dintorni e tra loro si mescolò lo scrittore ligure, passando di bar in bar. Il cronista de l’Unità colse e descrisse umori, gesti, dialetti e caratteristiche dei tifosi, dimostrando già da allora la stoffa del narratore. L’indomani sulle colonne del quotidiano comunista comparve un articolo memorabile intitolato Una partita che non ho visto.

Italo Calvino aveva manifestato già in un suo racconto l’interesse per l’educazione fisica, il protagonista sottolineava la necessità di fare esercizi per rinforzare i muscoli della mano, prevedendo per sé forse un futuro di scrittore e l’arte amanuense da esercitare quotidianamente.

Fu proprio Italo Calvino, quando all’Einaudi di Torino dirigeva la collana Centopagine, che pubblicava i grandi narratori, a volere la ristampa di Amore e Ginnastica di Edmondo de Amicis, un racconto breve che ha per protagonista l’ex seminarista Celzani, la cui fantasia si accende quando vede la maestra di ginnastica Pedani, che abitava nello stesso palazzo. Votata alla ginnastica igienistica del medico Baumann nella Torino della seconda metà dell’800, la Pedani rifiuterà, almeno in un primo momento, la mano di Celzani, salvo poi lasciarsi andare a un bacio appassionato dopo un intervento pubblico a un congresso di ginnastica, proprio quando l’ex seminarista, in preda alla delusione amorosa aveva deciso di lasciare il capoluogo piemontese. Dal racconto deamicisiano il regista Filippo D’Amico nel 1973 realizzò l’omonimo film. La ristampa di Amore e ginnastica dell’ottobre 1971 voluta da Calvino, conobbe una fortunata diffusione tanto da indurre la casa editrice torinese a effettuare altre due ristampe. Nell’introduzione lo scrittore ligure parla della ginnastica come bene inafferrabile, ma non resiste all’idea di introdurre il lettore a insinuazioni sull’abitazione della signorina Pedani: «La casa si prestava ai maneggi e ai segreti di una vita amorosa».

Fu nel 1952 che Italo Calvino, all’età di 29 anni, si cimentò come cronista con un grande avvenimento sportivo: le olimpiadi di Helsinki. A inviarlo nella città scandinava, come penna sportiva de l’Unità, fu Davide Lajolo, durante la Resistenza il partigiano «Ulisse» poi direttore del quotidiano del Pci, scrittore e sostenitore del binomio sport e letteratura. Lajolo, autore del romanzo Vedere l’erba dalla parte delle radici aveva inviato già il poeta Alfonso Gatto al Giro d’Italia del ‘48, ricevendo un riscontro positivo da parte dei lettori del quotidiano comunista.

Il clima politico internazionale era di Guerra Fredda, l’appuntamento olimpico fu il primo cui partecipò l’Unione Sovietica, per dimostrare la «superiorità» dell’atleta socialista. L’occasione fu l’impresa del cecoslovacco Emil Zàtopek, che vinse i 5 mila e i 10 mila metri, specialità fino ad allora ritenute impossibili da disputare da uno stesso atleta, per le diverse caratteristiche tecniche. Zatopek divenne un’icona mondiale dell’atletica, fu definito «la locomotiva umana», ma anni dopo quando nel 1968 i carri armati russi invasero Praga non mancò di mettersi alla testa di un corteo di protesta, decisione che lo portò ai lavori forzati per dieci anni.

La descrizione della cerimonia di apertura fatta da Italo Calvino è una pennellata d’autore: «L’impermeabile, si capisce, lo portiamo noi comuni mortali, perché la pioggia non riesce ad offuscare la noia dominante e caratteristica di questo clima olimpico, costituito dai colori delle tute di allenamento ancor più vistose delle giacche della divisa da passeggio degli atleti e dei dirigenti italiani col loro splendente doppiopetto, coi bottoni d’oro, hanno tutti un’aria da principi azzurri… mentre invece gli inglesi portano una giacchetta nera assai modesta». Un aspetto, quello sottolineato da Calvino, che otto anni dopo, in occasione dell’inaugurazione delle olimpiadi di Roma del 1960, Pier Paolo Pasolini presente con Elsa Morante e Alberto Moravia non esitò a definire «pacchiano».

Calvino, oltre a essere l’autore del Taccuino olimpionico curò per il quotidiano comunista la rubrica Personaggi dei Giochi olimpici dove trovavano spazio personaggi e volti che solo la penna di uno scrittore poteva delineare. C’erano tra gli altri il fondista finlandese Paavo Nurmi, con il quale Gianni Brera, inviato della Gazzetta dello sport fece il viaggio sul traghetto per raggiungere Helsinki e lo intervistò ricorrendo al latino, visto che non conosceva l’inglese, il marciatore italiano Giuseppe Dordoni e altri personaggi i cui particolari furono evidenziati dallo scrittore ligure.

L’esperienza delle olimpiadi di Helsinki spinse Italo Calvino a maturare definitivamente la decisione di lasciare il lavoro di giornalista. Scelse per nostra fortuna il mestiere dello scrittore, regalandoci romanzi memorabili. L’impronta della penna sportiva di Calvino, però, resta indelebile negli articoli e nei reportage calcistici, come quello del 1951 dall’Unione Sovietica e qualche editore, al di là degli anniversari, dovrebbe forse raccoglierli e pubblicarli.