La neo ex premier britannica Liz Truss ha dato ieri le dimissioni, travolta da uno tsunami di dissenso nel suo stesso partito innescato dalla disastrosa mini legge di bilancio con la quale voleva rilanciare l’economia. Il nuovo leader – avanti il prossimo – dovrebbe essere annunciato tra le fanfare venerdì, sempre che le modalità semifeudali con cui i Tories hanno inflitto ai sudditi gli ultimi quattro premier in sei anni (Cameron, May, Johnson, Truss) risultino digeribili al paese. I laburisti di Starmer – con i verdi, i lib-dem e i nazionalisti scozzesi – tuonano per elezioni anticipate, ben consapevoli di avere un buon margine di vantaggio nei sondaggi rispetto a degli avversari in preda a una violenta autofagia.

ESATTAMENTE lo scorso venerdì, in un gesto di luminosa lealtà, Truss aveva silurato il suo alleato ministro delle finanze Kwarteng, reo di aver varato per conto di lei medesima la succitata leggina di bilancio che tagliava le tasse ai ricchi aumentando orrendamente il debito. Il tutto produceva deplorevoli ripercussioni nei mercati finanziari, azzoppava la sterlina, sballottava i titoli di stato e mobilitava la Banca d’Inghilterra. Al posto di Kwarteng è ora il moderato Jeremy Hunt, che ha fatto una sgommata in retromarcia eliminando ogni traccia dei provvedimenti incriminati. Poi, mercoledì, le dimissioni della ministra dell’interno Suella Braverman – un’altra scalmanata reazionaria – per un’irregolarità procedurale, avevano aggravato ulteriormente la posizione di Truss. Braverman è stata sostituita da un altro moderato, Grant Shapps.

TOLTO BORIS “I’ll be back” Johnson, altri papabili successori secondo l’oligarchico iter procedurale sarebbero l’appena sconfitto ex-ministro delle finanze Rishi Sunak – le cui previsioni da Cassandra circa la politica economica della rivale si sono avverate ma che è odiato per aver pugnalato “Boris” – e il medesimo Hunt, al momento l’uomo al comando del paese. Ma costui, che già ci ha provato due volte senza successo, pare modestamente chiamarsi fuori.

Nel frattempo, la premiership di Truss diventa già preistoria, roba da British Political Museum, un oscuro reperto catalogato solo in base alla durata della sua permanenza in carica, 45 giorni, la più breve dai tempi della conquista normanna. Lo sfacelo imperversa nel partito, ma i mercati (ap)plaudono e la sterlina si ringalluzzisce. Con buona pace della credibilità economica dei conservatori, ormai in frantumi come un parabrezza colpito da una scheggia.

MENTRE ORA ricomincerà tutta la trafila della rielezione (sarà più probabilmente l’incoronazione di un unico candidato, i Tories sono consci di quanto sia avvilente rivivere tutto a così breve distanza), lei resta a litigarsi lo scettro della peggiore leader conservatrice of all times con il tristo Iain Duncan Smith. Eletta lo scorso sei settembre, succeduta a Boris Johnson – sempre pronto a tornare subito dopo la pubblicità! – è a malapena riuscita a fare la prima e ultima riverenza alla moritura monarca, di certo il picco di una permanenza a Downing Street che ha del cataclismatico. Oltre che per la brevità del suo mandato, i manuali scolastici la ricorderanno come l’unica ad aver cominciato con una regina e ad aver finito poco dopo con un re: un’acrobazia che resterà ineguagliata nei secoli (decenni?) a venire. Cavalcando l’onda anomala di Brexit, Truss voleva sovvertire il one nation conservatism di Johnson – il volto compassionevole di un partito essenzialmente di padroni – per falciare il paese con raffiche di thatcherismo ben oltre la data di scadenza.

ELIZABETH TRUSS è una nientità politica, una che ancora 24 ore prima non riusciva a fare di meglio che copiare una frase della vecchia volpe neolaburista Peter Mandelson «I’m fighter, not a quitter», sono una che lotta e che non molla, per giustificare la sua “resilienza”. Per poi debitamente mollare, dopo aver avuto conferma ieri da Graham Brady – segretario del 1922 Committee, l’organismo elettivo dei leader conservatori – che la sfiducia dei colleghi nei suoi confronti era massima. Eppure, anche lei non è che un prodotto del sempiterno Johnson, che ha ridotto i Tories a un manipolo di bercianti isolazionisti pur di primeggiare.