Sullo scacchiere, quando i pezzi importanti sono in pericolo, si sacrificano le pedine: meglio perdere un paio di pedine, anche tutte, che perdere il re o la regina o l’alfiere.

Sullo scacchiere del Sahel, quello che interessa il triangolo Mali-Niger-Burkina, si sta verificando la stessa cosa: si sacrificano le “pedine”, vale a dire la popolazione, la vita e la storia della gente e di interi villaggi, il futuro e i sogni dei giovani.

LA PARTITA SI È FATTA DURA, gli interessi economici muovono e condizionano sempre più quelli politici e il terrorismo sembra dettare legge a istituzioni e governi. Il Burkina, che in apparenza punta tutto sulla sicurezza, anche per distrarre la gente da altri problemi (come il rincaro dei prezzi, un mercato invaso da merci scadenti, l’importazione selvaggia senza alcun controllo, la corruzione galoppante, uno sviluppo che non tutela la piccola imprenditoria ma favorisce la spartizione del mercato tra grandi imprenditori amici e parenti di chi governa, un sistema scolastico pubblico che non forma ma imbottisce di nozioni, un sistema sanitario a totale carico del malato…), di fatto i terroristi si muovono quasi indisturbati su fasce di territorio sempre più importanti ed estese, svuotano villaggi, mandano a casa insegnanti e studenti, infermieri e malati, massacrano uomini in divisa di stanza lì per proteggere la popolazione, ma abbandonati anche loro a se stessi e impegnati nella caccia per nutrirsi.

E COSÌ, NEL SILENZIO quasi assoluto dell’informazione che conta, si consuma ancora una volta un dramma che tocca nel cuore la democrazia e la libertà.

Dalle ore 20 di sabato 20 novembre, senza previa informazione, è stata sospesa la connessione mobile, quella che qui si chiama «i giga nel telefono»: la gente comune, che non ha connessione fissa con wifi e che mette pochi spiccioli ogni giorno sulla sim per attivare i mega, non ha avuto più accesso a Whatsapp, Facebook, Instagram, Telegram, Tik-Tok e altri social. Wathsapp è molto usato per la comunicazione e per le chat anche per lavoro poiché le chiamate sono gratuite.

DUE GORNI DOPO, iIl 22 novembre, un comunicato del Governo annuncia a ritroso la sospensione della comunicazione mobile: dalle ore 20 del 20 novembre per 96 ore. Il servizio doveva essere riattivato il 24 novembre alle ore 20, ma non è stato attivato, anzi è stato prolungato per altre 96 ore. Inoltre il 26 novembre, per ragioni di sicurezza, il ministro dell’Istruzione ha imposto la chiusura di tutte le scuole di ogni ordine e grado fino a lunedì 29 novembre.

L’analisi della realtà è complessa. Analizziamo tre eventi.

Un convoglio dell’esercito francese con decine di mezzi pesanti (si dice più di cento) è stato bloccato dalla popolazione per tre giorni a Kaja. Dicono diretto in Niger e poi in Mali all’interno dell’operazione Barkhane per contrastare il terrorismo. L’operazione Barkhane è stata fortemente appoggiata da Macron che però in giugno 2021 ha annunciato il ritiro delle forze francesi. Il convoglio è partito il 14 novembre da Abidjan, diretto a Niamey e da lì a Gao in Mali per rifornire le forze francesi e i partner del G5 Sahel impegnati nella lotta contro i gruppi jihadisti.

LA PRESENZA DEL MASSICCIO contingente francese, nell’animo già caldo della popolazione centro-settentrionale, ha creato violenti reazioni popolari ovunque è passato. Anche in Niger è stato contestato. Il 18 novembre il rappresentante speciale delle Nazioni unite per l’Africa occidentale e il Sahel, Mahamat Saleh Annadif, ha dichiarato che la situazione in Burkina Faso è estremamente preoccupante: «Faccio appello alla saggezza della società civile e di altri attori per evitare che un Paese come il Burkina, citato come esempio in diverse aree, cada in una crisi come sta accadendo altrove», ha detto Annadif in riferimento alla destabilizzazione in atto in altri Paesi del Sahel tra cui il Mali e il Ciad. In effetti, si è rischiato l’incidente diplomatico internazionale con le conseguenze del caso.

 

Il presidente del Burkina Faso, Roch Marc Christian Kabore, all’Eliseo con il suo omologo francese Macron affiancato dal nigerino Mohamed Bazoum (Ap)

 

Un altro elemento è il susseguirsi di attentati. Uno per tutti l’attentato di domenica 14 novembre contro la gendarmeria di Inata, nella provincia settentrionale di Soum, dove secondo le autorità sono morte almeno 53 persone (49 militari e 4 civili). Dal 14 gli attentati non si sono fermati. Il 22 novembre nove gendarmi sono stati uccisi in un attacco a Foubé nel Centro-nord. Il 24 novembre verso le 5 del mattino, a Thiou nella provincia di Yatenga nel Centro-nord, in un attacco hanno perso la vita tre soldati e una dozzina sono stati feriti; undici terroristi sembra siano stati neutralizzati dai militari.

Un terrorismo che prende sempre più terreno e semina terrore. In più, questa volta gli uomini in divisa hanno fatto sentire forte la loro voce perché mandati allo sbaraglio, perché non ben nutriti, perché non ben pagati per il rischio che corrono, perché l’esercito e la polizia sono afflitti da una dilagante corruzione.

A QUESTI DUE EVENTI si aggiunge il malcontento della popolazione già manifestatosi durante i tre giorni di lutto nazionale indetto dal presidente Kabore. Tanti i suoi manifesti strappati durante questi giorni.

La società civile si è data appuntamento il 27 novembre per una marcia contro il governo da svolgere in tutte le grandi città del Burkina. Dietro questa Marcia il CFOP-BF (Chef de File de l’Opposition Politique Burkina Faso) legato al CDP, il partito dell’ex presidente destituito nel 2014 da una pacifica insurrezione popolare. La marcia si è svolta pur non essendo autorizzata né dai sindaci né dal governo centrale ed è stata bloccata disperdendo con bombe lacrimogene i numerosi partecipanti.

È una marcia che fa paura a tutti: al governo, fino a silenziare i social; alla stessa popolazione, perché una crisi istituzionale in questo momento manderebbe allo sbando il Paese, consegnandolo su un piatto d’argento ai terroristi.

La gente è stanca e c’è un grande divario tra la vita reale (in pediatria l’altro ieri a Bobo Dioulasso nelle urgenze c’erano tre bambini per letto) e l’immagine che il governo propina.

Il governo ha senza dubbio avuto uno scossone e ha lanciato il Nexus, Patto Stato Militari Popolazione per combattere il terrorismo e ha annunciato una revisione del governo.

IN VERITÀ, bisogna anche aggiungere un quarto evento: il processo per l’uccisione di Thomas Sankara che si sta tenendo a Ougadougou e che certamente farà luce anche su personaggi che tutt’ora sono sul palcoscenico della politica.

In questo scenario, un ruolo importante lo giocano i giovani. Sia quelli sfiduciati e delusi, senza prospettiva e perennemente alla ricerca di un lavoro, quasi sempre poco scolarizzati e in villaggi isolati, pronti a tutto pur di sopravvivere, anche di unirsi ai terroristi che promettono soldi e cibo in abbondanza. Questi giovani sono la manovalanza del terrorismo e anche il suo futuro. Sia quei giovani che si nutrono del pensiero e delle idee di Thomas Sankara, scolarizzati, integrati nel web, capaci di analizzare i fatti, pronti a lottare pacificamente ma con caparbietá e resistenza per un Burkina Faso libero da dominazioni e in grado di autodeterminarsi.

Con Sankara, il Burkina Faso é stato pioniere di idee democratiche e libere per tutta l’Africa, l’augurio è che questo momento angosciante che stiamo vivendo, carico di inquietudine e incertezze, porti ancora una volta il paese degli integri a imporsi per le sue idee di libertà.