«Buonasera, la informo che devo entrare nelle acque territoriali italiane. Virerò la barca ed entrerò, non posso più garantire lo stato delle persone». Alla comandante della Sea Watch 3 Carola Rackete bastano poche parole, comunicate nel primo pomeriggio di ieri alla capitaneria di porto di Lampedusa, per mettere fine all’attesa inutile di un porto sicuro dove sbarcare i 42 migranti che si trovano a bordo. Quattordici giorni possono bastare, deve aver pensato la giovane e capitana tedesca. Due settimane esatte trascorse pendolando in mezzo al mare in balìa dei divieti imposti da un ministro leghista e del silenzio dell’Unione europea. Un periodo di tempo più che sufficienti. Anche perché se è vero, come ha sentenziato martedì la Corte di Strasburgo nel rigettare il ricorso con cui la ong chiedeva di poter finalmente attraccare, che nessuna delle persone che si trovano sulla nave è in pericolo di vita, è anche vero che i migranti salvati il 12 giugno scorso al largo della Libia ormai «sono allo stremo». «So cosa rischio, ma li porto in salvo», comunica quindi Rackete all’equipaggio prima di indirizzare la prua verso l’isola siciliana.

Pochi minuti e la nave varca il confine d’acqua facendo così ufficialmente ingresso in Italia. Una motovedetta della Guarda di finanza la raggiunge con l’ordine di fermarla ma Rackete tira dritto. Una manovra che a Roma fa infuriare Matteo Salvini: «Perché non viene arrestata?», tuona. «Se qualcuno stasera non si ferma alla paletta dei carabinieri viene arrestato, mi domando perché non ci sia identico intervento da parte di chi di dovere nei confronti di chi è reiteratamente al di fuori della legge». Anche senza nominarla, è l’ennesima polemica con la procura di Agrigento. E poi il ministro promette: «Non sbarcheranno, schiero la forza pubblica».

In realtà fino a ieri sera schierate sul molo di Lampedusa c’erano solo due macchine dei carabinieri e qualche agente della Digos impegnato a prendere nota delle dichiarazioni rilasciate dalla pattuglia di parlamentari arrivati da Roma per esprimere solidarietà alla ong tedesca. La Sea Watch 3, invece, aspettava alla fonda che gli agenti della finanza saliti a bordo terminassero la loro ispezione. «Hanno controllato i documenti della nave e i passaporti delle persone – riferirà più tardi la stessa Rackete – ora stanno aspettando istruzioni dai loro superiori. Spero vivamente possano far scendere al più presto dalla nave le persone soccorse».

Difficile in realtà che lo sbarco possa avvenire i tempi brevi e di sicuro non per decisione del Viminale che ieri ha coinvolto mezzo governo in una lite con l’ Europa. A partire dall’Olanda colpevole, secondo il leghista, perché Paese di bandiera della Sea Watch 3. Più probabile allora che sia ancora una volta la procura di Agrigento, una volta letto il rapporto che gli avrà inviato la Guardia di Finanza, a ordinare il sequestro preventivo della nave e, quindi, lo sbarco di quanti si trovano a bordo e che potrebbe contestare alla comandante il mancato rispetto dell’ordine di fermarsi impartito dalla Guardia di finanza. Quasi scontata, invece, la sanzione prevista dal decreto sicurezza bis e decisa dal prefetto, che può arrivare fino a 50 mila euro.

In serata al Sea Watch 3 ha riacceso i motori e si è sposta in una caletta al lato del porto di Lampedusa in modo da non intralciare il passaggio dei traghetti e delle altre imbarcazioni. Ed è lì che Carola Rackete, la «sbruffoncella che fa politica» come l’ha definita ieri Salvini, resterà in attesa di notizie.