Il proposito di «passar a boiada» – magistralmente espresso dall’ex ministro dell’Ambiente Ricardo Salles in riferimento alla necessità di azzerare la legislazione ambientale, proprio come se ci passasse sopra una mandria di buoi – non è scomparso con la fine della presidenza Bolsonaro. All’interno del congresso, bolsonaristi, esponenti del gelatinoso Centrão (il blocco di partiti sempre disposti a vendersi al miglior offerente) e rappresentanti dell’agribusiness di ogni colore e tendenza stanno sferrando una micidiale offensiva contro tutto ciò che suona come difesa dell’ambiente e dei popoli indigeni.
L’ultimo capitolo della guerra in corso è andato in scena ieri, quando a São Paulo la polizia militare ha utilizzato bombe di gas e idranti per disperdere la protesta dei rappresentanti del popolo guarani contro la votazione – prevista ieri, ma nel momento in cui scriviamo non ancora iniziata – del progetto di legge 490, di cui la scorsa settimana la bancada ruralista, l’onnipotente lobby dei grandi proprietari terrieri, era riuscita a imporre il riconoscimento del carattere d’urgenza.

IL PROVVEDIMENTO, considerato la pietra tombale delle demarcazioni delle aree indigene, assume la sciagurata tesi del «marco temporal» – ancora in discussione alla Corte suprema, che dovrebbe riprenderla il 7 giugno – in base a cui avrebbero diritto alla terra solo gli indigeni in grado di dimostrare la loro presenza nell’area rivendicata alla data di promulgazione della Costituzione, il 5 ottobre del 1988, come se tutto il processo di espulsioni violente e di massacri realizzato durante il regime militare non avesse mai avuto luogo.
Se, tuttavia, sarà la Corte suprema ad avere l’ultima parola sul «marco temporal», non sembrano invece esserci molte speranze riguardo alla Misura provvisoria (Mp) 1154/23 sulla ristrutturazione ministeriale decisa da Lula al momento del suo insediamento, pesantemente stravolta da una commissione mista del congresso in attesa del voto parlamentare previsto obbligatoriamente entro il primo giugno (pena la decadenza della Mp).

IL TESTO PRESENTATO da Isnaldo Bulhões – deputato del Movimento Democrático Brasileiro che pure sostiene il governo Lula – ha infatti amputato senza pietà il ministero dell’Ambiente, che torna sostanzialmente alla sua versione bolsonarista, e il ministero dei Popoli indigeni: al dicastero guidato da Marina Silva è stato sottratto il coordinamento del Sistema nazionale di gestione delle risorse idriche e dell’Agenzia nazionale per l’acqua (trasferiti al ministero dell’Integrazione e dello sviluppo regionale), e, soprattutto, del Registro ambientale rurale – strumento essenziale per il contrasto alla deforestazione -, incorporato dal ministero della Gestione e innovazione dei servizi pubblici. E non è andata meglio al ministero presieduto da Sônia Guajajara, privato della sua principale funzione, quella della demarcazione delle aree indigene, restituita al ministero della Giustizia.
Ma se le amputazioni sono gravissime, non meno preoccupante è la passività (se non addirittura complicità) mostrata da settori non trascurabili dello stesso governo Lula, a cominciare dal ministro delle Relazioni istituzionali Alexandre Padilha, il quale ha avuto il coraggio di definire «positivo» ed «equilibrato» il testo presentato da Isnaldo Bulhões. E c’è pure chi, tra i senatori del Pt, ha parlato di «vittoria».

NÉ SILVA né Guajajara l’hanno naturalmente presa bene. «Stiamo assistendo a un autentico attacco a un ministero che ha dovuto attendere 523 anni per venire alla luce ma neppure cinque mesi per essere smantellato», ha denunciato la ministra dei popoli indigeni, dicendosi frustrata per lo scarso impegno mostrato dal presidente (il quale, a sua volta, pare abbia reagito con irritazione allo sfogo della leader indigena).
Quanto a Silva, l’attacco sferrato contro di lei non solo dai nemici ma pure da amici ha tutta l’aria di un déjà vu: era stato proprio per il mancato supporto del governo che, nel 2008, la leader ambientalista aveva rotto con Lula. Ma se, per il momento, la ministra ha escluso le dimissioni, è prevedibile che non vorrà incassare per sempre.
Intanto, però, non si stanca di illustrare il suo progetto di paese: «Il Brasile sta al XXI secolo come gli Usa stanno al XX. Solo noi – dice – siamo nelle condizioni di avere una matrice energetica al 100% pulita. Il problema del Brasile è la mancanza di élite. Non c’è élite senza pensiero strategico. Chico Mendes è stato l’élite di questo paese. Il cacique Raoni è l’élite di questo paese».

QUASI OVUNQUE, tuttavia, incontra un muro di incomprensione: se un altro attacco “nemico” è venuto dall’approvazione da parte della Camera di un provvedimento che incentiva la deforestazione della Mata Atlântica – il bioma della costa orientale di cui sopravvive appena il 12,4% di vegetazione -, ancora più male ha fatto l’impressionante “fuoco amico” riguardo alla decisione dell’Ibama di negare alla Petrobras l’autorizzazione a trivellare un pozzo petrolifero al largo della costa dello stato settentrionale di Amapá, nel bacino di Foz do Amazonas.