Cambio di scenario in Brasile. L’ex presidente Lula è stato condannato in primo grado a 9 anni e 6 mesi nell’ambito dell’inchiesta Lava Jato, la Mani pulite brasiliana. Per il giudice Moro, che indaga sui fondi neri della petrolifera di Stato Petrobras, è colpevole di corruzione attiva, passiva e riciclaggio di denaro. L’ex sindacalista non andrà in carcere in attesa della sentenza d’appello, ma difficilmente potrà presentarsi alle previste elezioni presidenziali di ottobre, per le quali risultava favorito.

Lula, che ha sempre negato ogni addebito, è stato condannato per una presunta tangente di 3,7 milioni di reais (pari a circa un milione di euro) utilizzata – secondo Moro – per i lavori di ristrutturazione di un appartamento nella località balneare di Guaruja. Un colpo basso ai movimenti popolari che premono per arrivare ad elezioni anticipate e dirette a fronte della possibilità di impeachment per il presidente de facto Michel Temer.

Dopo aver subito una progressiva emorragia del suo staff con numerose rinunce dovute alle inchieste della magistratura, Temer ha anche perduto l’appoggio del suo partito. A istruire la Commissione parlamentare che studia la denuncia per corruzione contro Temer è il deputato Sergio Zveiter, del Pmdb: il quale ha chiesto che il presidente de facto venga sottoposto a un processo penale, durante il quale verrebbe sospeso per 6 mesi.

Una conclusione che è alla base del rapporto presentato da Zveiter alla Commissione per la costituzione e la giustizia della Camera dei deputati (Ccj) che dovrebbe discutere a breve se accettare o meno le conclusioni della Procura generale. Il dibattito della Commissione può durare fino a 5 giorni, poi il rapporto sarà votato dai 513 parlamentari, e passerà se c’è l’approvazione dei 2/3 dei deputati.

Secondo il Procuratore generale Rodrigo Janot, Temer avrebbe preso tangenti dai vertici della compagnia Jbs – ora pentiti – fin dal 2010 e avrebbe anche cercato di comprare il silenzio dell’ex presidente della Camera, Eduardo Cunha, che sta scontando 15 anni di carcere. Le maxi inchieste per corruzione sono entrate pesantemente nel gioco politico evidenziando la profonda crisi che vive il Brasile.

Una crisi strutturale economica, politica, sociale e ambientale, che ora mostra tutte le crepe di una democrazia giovane e fragile, rimasta sotto la tutela dei poteri forti nonostante i passi avanti dei governi progressisti di Lula e Rousseff. Il sistema politico brasiliano, nato con la costituzione del 1988 consente alle grandi imprese di finanziare le campagne elettorali e quindi di scegliere i candidati e condizionarli.

Quasi l’80% dei deputati è finanziato dalle grandi imprese, in modo legale o illegale. Con il governo Lula si è data una maggior possibilità di indagine alla magistratura e alla fine si è aperto il vaso di Pandora che ha anche evidenziato il fallimento del processo di concertazione su cui si è retto “il lulismo”: se i meno favoriti hanno migliorato le loro condizioni di vita, anche banchieri, affaristi e industriali hanno guadagnato moltissimo. Ma di fronte alla crisi il patto è saltato: i poteri forti hanno messo in sella Temer per riprendersi tutta la torta.

E ieri è passata in Senato la Riforma del lavoro che riporta indietro l’orologio dei diritti in Brasile. Le senatrici di opposizione (Pt) hanno occupato il tavolo della presidenza. Il presidente Eunicio Oliveira ha sospeso la plenaria, ordinato di staccare la corrente e i microfoni, e alla fine la riforma è passata con 50 voti a favore, 26 contrari e un’astensione. Un progetto di legge liberticida al pari di quello sulla previdenza, altrettanto contestato dalle piazze nel corso di due scioperi generali.

Tra i punti previsti dalla Riforma figurano la fine della contribuzione sindacale obbligatoria e la possibilità data agli accordi tra dipendente e datore di lavoro di prevalere su quanto previsto dalla legislazione nazionale. Un testo che lascia mano libera alla precarietà e ai licenziamenti e peggiora ampiamente le condizioni di lavoro.

Per il governo Temer, messo in sella dai poteri forti per asfaltare i diritti acquisiti durante le precedenti gestioni di Lula e Rousseff, si tratta invece di un progetto per modernizzare la legislazione attuale e favorire l’occupazione. La Riforma “viola le convenzioni internazionali firmate dal Brasile”, ha sostenuto L’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), rispondendo ad alcune domande poste dai sindacati brasiliani.

Anche il senatore Renan Calheiros, ex leader del partito di Temer (il Pmdb) e ora all’opposizione ha dichiarato: “Stiamo vivendo il peggior momento di questo Senato federale”, tantopiù in un governo privo di legittimità: viziato all’origine dal golpe istituzionale compiuto contro Dilma Rousseff oltre un anno fa e diretto da un presidente non eletto dal popolo, che ora rischia di essere sospeso per corruzione.