Nel 2007 il Brasile annunciò la scoperta di enormi giacimenti petroliferi nella zona chiamata del «pre-sal»: acque profondissime, fino a 5.000 metri, e giacimenti situati sopra sedimenti salini spessi centinaia se non migliaia di metri. Il pre-sal avrebbe fatto del Brasile il quarto produttore mondiale di greggio.

È iniziato allora l’assalto a Petrobras, l’impresa petrolifera statale brasiliana che la follia neoliberista degli anni 90 – e il suo leader brasiliano dell’epoca, Fernando Henrique Cardoso – riuscì solo parzialmente a privatizzare. Guidata da Dilma Rousseff (l’attuale presidente) dal 2003 al 2010, Petrobras ha distribuito enormi guadagni, ha aiutato in modo fondamentale la spettacolare crescita del Brasile ma ha anche sollecitato gli appetiti delle sorelle petrolifere mondiali, che non hanno badato a spese né ai mezzi pur di cercare di impadronirsene.

Dopo il mensalão che sfiorò Lula

Nasce in questo contesto lo scandalo chiamato petrolão (per assonanza con il mensalão, il precedente super-scandalo di deputati d’opposizione comprati un tanto al mese durante i primi anni dei governi del Pt), o «operazione Lava-Jato», cioé autolavaggo, perché i primi arresti sono avvenuti in una grande pompa di benzina che comprendeva un’agenzia di cambio dove venivano pagate le tangenti, e perché proprio il lavaggio del denaro pompato da Petrobras nelle tasche di faccendieri, imprenditori e politici è il protagonista della vicenda.

Iniziato nel 2014 nella periferica Curitiba, il petrolão si è gonfiato talmente che la procura federale ha dovuto aprire un portale su internet per aggiornare numero e identità di inquisiti, arrestati, processati e ora anche i primi condannati. Petrobras ha reagito chiedendo i danni e recuperando centinaia di milioni di reais, una frazione dei miliardi perduti negli schemi corruttivi. Il mensalão sfiorò soltanto il presidente petista Lula, che ne uscì del tutto indenne.

Dilma Roussef è chiamata alla stessa sfida e per ora batte con ostinazione sullo stesso chiodo: chi ha sbagliato pagherà ma Petrobras non sarà privatizzata, il petrolio resterà dei brasiliani, l’assalto sarà respinto. E nel 2018 Lula, forse il politico più amato del subcontinente, potrebbe tornare in pista per la presidenza.