Per una parte del Brasile, minoritaria ma comunque consistente, l’insediamento di Bolsonaro (ribattezzato a sinistra Bolsonazi) è stato un momento di lutto nazionale.

Ed è stato anche un evento senza precedenti: non era mai avvenuto che un presidente assumesse la guida del paese in un clima di stato d’assedio, con l’ingresso alla Esplanada dos Ministérios vietato persino a biciclette, skate e pattini e il divieto di portare borse, ombrelli, bottiglie e addirittura carrozzine.

Il trattamento peggiore è stato riservato ai giornalisti, tra i principali bersagli dell’ex capitano, non solo costretti durante i controlli a gettare via succhi di frutta, yogurt e anche mele (se non divise già a spicchi), ma anche lasciati senz’acqua, obbligati a chiedere l’autorizzazione per andare al bagno, intimiditi e, come ha denunciato Vicente Nunes del Correio Braziliense, confinati in un «carcere privato fino alle 17», quando finalmente hanno ricevuto il permesso di coprire la cerimonia di insediamento.

Alle 15 (ora locale) Bolsonaro ha prestato giuramento accanto al vice Hamilton Mourão, in una cerimonia al Congresso nazionale durante la quale ha auspicato «un vero patto nazionale» tra la società e i tre poteri dello Stato al fine di risollevare la patria «liberandola definitivamente dal giogo della corruzione, della criminalità, dell’irresponsabilità economica e della sottomissione ideologica».

Ma ad ascoltare i suoi proclami contro «l’ideologia di genere», contro una scuola impegnata a indottrinare i figli del popolo brasiliano anziché prepararli al mercato del lavoro, contro i «nemici della patria, dell’ordine e della libertà» non c’era alcun parlamentare di sinistra, in un’esplicita dichiarazione di guerra alla costruzione dello Stato di polizia a cui si dedicherà il nuovo governo fino al 31 dicembre del 2022. «Non sembrava una scelta ragionevole – ha spiegato il presidente del Psol Juliano Medeiros – partecipare all’insediamento come se tutto fosse normale».

Come se nulla di insolito vi fosse nel passaggio di consegne da Michel Temer – diventato presidente con colpo di stato – a Jair Bolsonaro, insediatosi grazie alla farsa del processo contro Lula (con lo scontato epilogo della sua condanna, dell’arresto, della sua definitiva inabilitazione) e a una campagna illegale condotta a colpi di fake news. «Non è un insediamento, è un’appropriazione indebita», commentail sociologo Emir Sader.