È stato il trionfo della vecchia pratica del toma-lá-dá-cá (traduzione brasiliana del nostro do ut des), proprio quella contro cui il Bolsonaro in versione «candidato anti-sistema» aveva tuonato per tutta la campagna elettorale. Non a caso, per garantirsi il primo febbraio il controllo della nuova presidenza di Camera e Senato, il presidente, oltre a promettere incarichi e prebende di ogni tipo, aveva messo a disposizione di deputati e senatori risorse straordinarie pari a 3 miliardi di reais, da investire nelle rispettive regioni, in cambio dell’appoggio ai propri candidati Arthur Lira e Rodrigo Pacheco.

Soldi ottimamente spesi, considerando il successo di quella che era senza dubbio un’operazione chiave per la sua sopravvivenza alla guida del paese, dal momento che in Brasile è il presidente della Camera a decidere l’apertura o meno di un processo di impeachment. E se non c’era nessuna garanzia che il candidato di opposizione, il moderatissimo Baleia Rossi, si decidesse ad ammettere una delle 66 richieste di destituzione presentate contro Bolsonaro nel corso di questi due anni, di certo, con Arthur Lira, la sua presidenza sarà blindata.

Bolsonaro potrà insomma portare tranquillamente a termine il suo mandato, condannando la popolazione brasiliana ad altri due anni di incubo. E potrà farlo, ora, con un potere ulteriormente accresciuto, richiamando all’ordine di tanto in tanto l’indisciplinato ma infine subordinabile Supremo tribunale federale e controllando quello che il sociologo Fernando de la Cuadra ha definito come «il più nefasto Congresso nazionale della storia recente del Brasile». Un Congresso, cioè, dominato dal cosiddetto Centrão, «ammasso gelatinoso di partiti impegnati a perseguire interessi spuri al solo fine di riprodursi nella sfera del potere», di cui fanno parte sia Lira che Pacheco, quest’ultimo votato peraltro anche dal Pt, «in mancanza di alternativa».

Del Centrão faceva parte anche l’imbelle ex presidente della Camera Rodrigo Maia, il quale sarà ricordato per aver ignorato ogni richiesta di impeachment contro Bolsonaro, dopo aver votato a cuor leggero, nel 2016, la destituzione di Dilma Rousseff.

Una pugnalata a tradimento, tuttavia, lo ha raggiunto proprio alla fine del suo inglorioso mandato e ad opera del suo stesso partito, il Dem, che, alla vigilia del voto, fedele all’inveterata consuetudine di schierarsi dalla parte con maggiori possibilità di successo, ha scaricato il suo candidato Baleia Rossi per appoggiare il bolsonarista Lira. Il quale, tanto per cambiare, e subito dopo aver promesso misure contro la pandemia, ha celebrato la sua vittoria in una festa con 300 invitati privi di mascherine.