1.262 vittime in un solo giorno, per un totale di 31.309 decessi, e oltre 558mila contagi. Ma Bolsonaro fa il fatalista: «Mi dispiace per i morti, ma è il destino di tutti noi». Sono altre le preoccupazioni del presidente, accerchiato da ogni parte dai nemici; certo, il suo zoccolo duro è ancora intorno al 30% e non accenna a ridursi.

Ma in strada, come si è visto domenica, i suoi sostenitori, che continuano a invocarlo al grido di «Mito!, Mito!», devono ora vedersela con i gruppi antifascisti, soprattutto quelli legati al tifo calcistico organizzato. Mentre i suoi avversari tentano di unire le forze in difesa della democrazia evocando un clima da Diretas Já, il movimento per le elezioni presidenziali dirette che avrebbe condotto, nel 1985, alla fine della dittatura.

È il caso della campagna #Somos70porcento, che, lanciata sabato dall’economista Eduardo Moreira, in base al presupposto che chi non è con Bolsonaro è contro di lui, ha raccolto subito un gran numero di adesioni. O il caso del Manifesto Juntos, firmato da personalità che coprono un amplissimo spettro politico: dall’ex candidato del Pt Fernando Haddad, dal governatore del Maranhão Flávio Dino (PCdoB) e dal deputado Marcelo Freixo (Psol), fino al presentatore della Globo Luciano Huch, all’ex presidente Fernando Henrique Cardoso e al golpista Michel Temer, passando per artisti, scrittori e imprenditori. Assente Sergio Moro, a cui è stata sbattuta la porta in faccia: «Entreranno tutti, meno i fascisti. Moro, fuori. C’è un limite», ha spiegato il giornalista Juca Kfouri, uno dei promotori del manifesto. Fuori, ma per sua volontà, è rimasto anche, un po’ a sorpresa, Lula, il quale non ha voluto aderire a un’iniziativa che ha tra i suoi aderenti i tutt’altro che democratici Cardoso e Temer e in cui non sembra esserci posto per la classe lavoratrice.

Mentre la sinistra tradizionale fatica a ritagliarsi un ruolo preciso nella crisi – un vuoto che domenica è stato colmato dalle frange organizzate del tifo -, prosegue il processo di dissoluzione delle istituzioni, in mezzo alle ricorrenti e sempre più esplicite minacce di intervento militare da parte di Bolsonaro, del vice Hamilton Mourão e di altri generali vicini al presidente.

A provocare l’ultimo scontro è stata la serie di perquisizioni e sequestri condotta il 27 maggio nell’ambito dell’inchiesta sulle fake news coordinata dal giudice della Corte Suprema Alexandre de Moraes: l’indagine, considerata un colpo al cuore del bolsonarismo, su una presunta organizzazione criminale dedita alla produzione di informazioni false attraverso le reti sociali, su cui la Folha de São Paulo aveva puntato il dito già tra il primo e il secondo turno delle elezioni presidenziali. Tra le persone indagate figurano l’ex deputato federale Roberto Jefferson, l’imprenditore Luciano Hang e i blogger Allan dos Santos e Winston Lima, tutti aperti sostenitori di Bolsonaro.