Anche i cataclismi hanno una periferia. E spesso lì, ai margini del cuore del disastro, le conseguenze possono essere persino peggiori. Se nelle città la situazione è estremamente difficile, nei centri sperduti della bassa è drammatica. Faenza, Cesena e altri medi centri sulla via Emilia sono sott’acqua, ma luoghi come Castel Bolognese (Ravenna) e tanti altri piccoli comuni nel cuore della Romagna, oltre ad essere travolti dal fango, sono anche abbandonati a loro stessi e irraggiungibili, anche via telefono.

A volte funziona solo la rete analogica radioamatoriale. Gli appassionati del settore, sollecitati dal comune di Casola Valsenio, sull’appennino ravennate, sono a disposizione per coordinare gli aiuti.

È DI QUESTE ORE la notizia che la protezione civile sta sfollando i residenti delle piccole frazioni di Sant’Antonio e di Portonovo, entrambe vicino a Medicina. Una manciata di case strette tra il torrente Idice e altri canali artificiali che adesso fanno davvero paura.

Già, perché quella è una zona dove fino a cinquant’anni fa c’erano le risaie, ed è tutto sotto il livello del mare. Gli sfollati sono poco più di cinquecento, molti dei quali verranno ospitati presso il centro sportivo Canova di Medicina, dove invece, come ci racconta Riccardo Ronchi, un abitante del posto, «la situazione nonostante il parco delle Mondine sia sommerso dal fango, pare essere ancora sotto controllo».

Per ora, perché la pioggia, anche se calata di intensità, pare continui blandamente per tutto il fine settimana.

ADESSO IL PROBLEMA, se possibile ancora più preoccupante, è rappresentato dalle frane. A Monterenzio, comune a sud di Bologna che comprende vasti territori di media montagna, uno smottamento ha spezzato in due l’unica via di comunicazione verso valle. 6.000 persone sono tagliate fuori dal mondo. I più sfortunati hanno visto alberi, detriti e un pezzo di collina abbattersi sulle loro case.

Tre nuclei familiari, fino a poco fa perfetti sconosciuti, stanno trascorrendo le notti insieme in un piccolo castello medievale con torre, messo a disposizione da una coppia del posto.

La struttura ospita antichi clavicembali e violini, ben protetti dalle spesse mura e scampati al fango. Stefano Roccamo, noto artigiano gelataio, sfollato, ogni giorno cammina nel sentiero boschivo che da Monte delle Formiche scende fino alla Val di Zena, raccoglie la spesa coi viveri che qualcun altro da valle mette a disposizione, e poi torna su e la distribuisce agli altri ospiti del castello. «Da quassù vedo solo frane, siamo bloccati, non possono arrivare i soccorsi, ma la priorità è salvare chi sta messo peggio di noi, che alla fine, nel castello, abbiamo un tetto, acqua corrente e elettricità. Ieri ho chiamato in comune, e mi ha risposto la sindaca. Non ci sentiamo abbandonati, capiamo la situazione. Serve solidarietà».

A PROPOSITO di solidarietà. Da Bologna, ogni mattina, dalla sede di Plat («Platform di intervento sociale», gli stessi che ogni tanto vengono presi a manganellate dalla Polizia perché si battono per il diritto alla casa e per l’integrazione sociale), partono diverse auto di volontari cariche di materiale come pale, stivali di gomma, generatori elettrici, pompe idrovore, e soprattutto di braccia per spalare il fango.

Luca Simoni, attivista che organizza le brigate di solidarietà, al telefono racconta che solo ieri, dalla loro sede, sono partite nove macchine colme di materiale e di persone, oggi undici e domani saranno ancora di più. Lui stesso, vanga in spalla, è stato – e sarà – in prima linea ad aiutare le popolazioni colpite dall’alluvione. Luca dice che a Castel Bolognese – ultimo luogo raggiungibile da Bologna, poi solo i mezzi autorizzati della Protezione civile e dei Vvff – «non c’è elettricità, non c’è modo di comunicare perché i cellulari sono tutti scarichi, e non si può bere l’acqua del rubinetto. Quando stamattina (ieri per chi legge, ndr) hanno riaperto i supermercati, come pronosticabile, c’è stato un assalto alle casse di acqua, il bene più prezioso».

Quindi adesso il paradosso, terribile, è che si vive in mezzo all’acqua ma non ce n’è quasi più da bere.

L’altro giorno, Luca ha salvato una maestra in pensione che era rimasta intrappolata al piano rialzato della sua abitazione e insieme ad altri ragazzi l’ha aiutata a trovare riparo. Però, i suoi preziosi libri, tantissimi, quelli accumulati in una vita, sono andati perduti. La donna dormirà nel palazzo dello sport comunale, dove sono pronte una cinquantina di brande per le prossime notti per chi non può ancora rientrare in casa.

NEL FRATTEMPO, il canale Telegram aperto da Plat, nel giro di poche ore conta già 1.300 adesioni. Sono tutti a disposizione per dare una mano. Vengono postate le foto e i video direttamente dai luoghi alluvionati, ma soprattutto ci sono le informazioni necessarie affinché gli aiuti siano concretamente indirizzati senza che nessuna energia venga dispersa. È un coordinamento di solidarietà mastodontico e incredibilmente efficiente. Tecnologia e pale. Sempre per far contento il ministro.

Maria Elena Scavariello, altra attivista di Plat che si occupa di diritto alla casa e di faccende legali, dice: «Ieri, una volta che i nostri volontari hanno fatto rientro a Bologna, in sede si è formata un’assemblea spontanea molto partecipata, più di cento persone, tutte d’accordo: non è solo maltempo, è cambiamento climatico».

La prima mossa di Plat sarà quella di una mobilitazione cittadina, organizzata per martedì 23 maggio, in occasione del Consiglio dei ministri. E poi di un’assemblea popolare, nel cuore della città, in piazza Maggiore, per discutere del problema ambientale e urlare al governo, sia nazionale che cittadino, che c’è necessità di intervenire subito.