«Riconosciamo tutti che non si può tornare allo status quo». «Un cessate il fuoco in questo momento lascerebbe semplicemente Hamas al suo posto, e lo metterebbe in condizione di riorganizzarsi e ripetere ciò che ha fatto il sette ottobre». La posizione del segretario di Stato Usa Antony Blinken – espressa ad Amman durante la conferenza congiunta con il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi e quello egiziano Sameh Shoukry – è evidentemente distante da quella dei leader dei paesi arabi che Blinken ha incontrato in Giordania. Che hanno chiesto tutti un cessate il fuoco – «immediato e senza condizioni», ha affermato Shoukry.
«Questa guerra – ha osservato il ministro giordano – non porterà sicurezza a Israele né pace alla regione». Regione che «sta sprofondando in un mare d’odio che definirà le generazioni a venire».

IN PRECEDENZA, oltre ai funzionari egiziani e giordani Blinken aveva incontrato il primo ministro ad interim del Libano Najib Mikati – che ha ringraziato per i tentativi di impedire che Beirut venga «trascinata in una guerra che il popolo libanese non vuole» – il direttore dell’Unrwa Philippe Lazzarini, e i ministri degli Esteri di Arabia saudita, Emirati arabi uniti e Qatar. Quest’ultimo ha coordinato, assieme all’Egitto, una proposta che prevederebbe delle pause giornaliere nei combattimenti – dalle sei alle dodici ore – per consentire la consegna di aiuti umanitari e carburante, e l’evacuazione verso l’Egitto dei feriti più gravi. Una proposta che sembra poter venire presa in considerazione dagli Stati uniti: nel suo discorso Blinken ha sostenuto la necessità di «pause umanitarie» e di aver affrontato l’argomento con gli ufficiali israeliani nel corso della sua visita di venerdì. Ha poi ribadito il diritto e dovere di Israele all’autodifesa, ripetendo che «il modo in cui lo fa» fa la differenza. «Israele deve fare tutto il possibile per evitare morti civili».
Dal canto loro, i paesi arabi coinvolti nelle discussioni con gli Usa si sono detti concordi, attraverso le parole di Shoukry, nel rifiutare «qualunque trattativa» sull’organizzazione politica di Gaza post conflitto prima che venga sancito il cessate il fuoco e lasciati entrare nella Striscia gli aiuti umanitari necessari.

E ieri, con un comunicato, è tornato a esprimere con forza un appello al cessate il fuoco umanitario anche il segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres. «Provo orrore per gli attacchi a un convoglio di ambulanze a Gaza fuori dall’ospedale Al Shifa. Le immagini dei corpi che disseminano l’ingresso dell’ospedale sono strazianti». Ha aggiunto di non dimenticare l’orrore degli attacchi in Israele, ed è tornato ad appellarsi al rilascio immediato e senza condizioni di tutti gli ostaggi.

«È QUASI UN MESE che i civili di Gaza, inclusi bambini e donne, sono stati assediati, che gli viene negato aiuto e vengono uccisi e costretti con le bombe a fuggire dalle loro case. Questo deve finire. La situazione umanitaria a Gaza è terrificante». Per questo Guterres si appella a «tutti coloro che hanno un’influenza»: «Devono esercitarla per garantire il rispetto della legge di guerra, porre fine alla sofferenza ed evitare l’allargamento del conflitto che potrebbe inghiottire l’intera regione».

DI RITORNO dal Kazakhstan, ieri il presidente turco Erdogan – che definisce i terroristi di Hamas combattenti per la libertà, e i membri del Pkk come terroristi – ha provato ancora una volta ad accreditarsi come mediatore e statista, e ha annunciato che nel corso di questo mese incontrerà il presidente iraniano Ebrahim Raisi. «Quando tutto quello che sta accadendo sarà finito – ha aggiunto – vogliamo che Gaza diventi una regione pacifica, parte di uno stato palestinese indipendente, in linea con i confini del 1967». Il premier israeliano Natanyahu non è però più un interlocutore turco: «Lo abbiamo cancellato». Israele è indicata da Erdogan come unica responsabile del conflitto in corso – e il presidente turco ieri ha richiamato l’ambasciatore di Ankara nel Paese.