Nel 1999, Maurizio Cattelan con la sua installazione La Nona Ora aveva fatto atterrare da un meteorite il pontefice Wojtyła, abbandonandolo in un lago di sangue e creando (soprattutto in Polonia) un grande sconcerto. Venticinque anni dopo, qualcosa è cambiato e il nuovo corso della chiesa inaugurato da papa Francesco deve avere incuriosito l’artista, tanto da fargli accettare una collaborazione intensa con il padiglione della Santa Sede, che ritorna alla 60/a Esposizione internazionale d’arte di Venezia presentando il progetto Con i miei occhi. Cattelan non sarà l’unico a interagire con il Vaticano: lo farà insieme a Claire Fontaine, Bintou Dembélé, Simone Fattal, Sonia Gomes, Corita Kent, Marco Perego &Zoe Saldana, Claire Tabouret. E, principalmente, sarà in compagnia delle ospiti della Casa di detenzione femminile della Giudecca, luogo scelto per il padiglione della Santa Sede che non ha un suo spazio fisso. Lì, in quel penitenziario, il 28 aprile, una settimana dopo l’apertura della kermesse lagunare, sbarcherà anche Francesco, segnando un momento storico: quello di un papa flâneur, che si aggira in Biennale nell’urgenza di un dialogo pronto ad abbracciare più discipline.

«CON I MIEI OCCHI» (che fa riferimento alla vista – anche quella focalizzata sulla drammaticità del mondo, proprio nel bel mezzo di una rassegna che quest’anno tende a privilegiare altri sensi come l’ascolto, l’olfatto e il tatto) è un progetto a cura di Chiara Parisi, alla guida del Pompidou-Metz e Bruno Racine, direttore di Palazzo Grassi, mentre il commissario è il cardinale José Tolentino de Mendonça (catalogo Marsilio). «Non sarà uno sguardo metaforico e distaccato dalla realtà, comodamente protetto da quell’anonimo voyeurismo che la contemporaneità ha globalizzato. Con i miei occhi contiene in sé qualcosa di distruttivo e profetico», spiega. L’intento è quello di proporre un altro passo, nella cultura ma anche, utopicamente, nelle relazioni umane.
Sono circa ottanta le volontarie che hanno collaborato all’allestimento della Mostra, selezionate con la direzione del carcere (esclusioni solo per motivi sanitari o di sicurezza). Partecipando attivamente al processo creativo, secondo quando affermato da Giovanni Russo, capo del Dap, molte di loro potranno usufruire dei benefici previsti per legge («il nostro compito è quello di aiutare i detenuti, in questo caso le detenute, a ricostruire il proprio vissuto dopo gli errori che, per svariate ragioni, sono stati compiuti nella loro vita precedente».

IL MESSAGGIO SOTTESO al padiglione è quello di inclusione, al di là delle barriere (pure dell’istituzione di reclusione) ed è lanciato da artisti di diversa fede in un luogo dove si potrà esperire uno spiazzamento fisico e mentale: senza dispositivi tecnologici né appigli che lo riconducano all’esterno, il visitatore si affiderà alle parole-guida delle detenute immergendosi in una narrazione visiva. Questa «doppia creatività», ha detto la curatrice Chiara Parisi, ha prodotto un docufilm girato nel carcere, a cui hanno partecipato una ventina di detenute, e anche opere ispirate alle loro foto di famiglia.