“Lui pensa di essere proprietario non solo della fabbrica e degli impianti, ma anche degli operai. Un atteggiamento tardo ottocentesco, padronale”. Le parole di Giovanni Mininni, segretario generale Flai Cgil, disegnano l’identikit del padrone delle ferriere di turno: Luca Lami, imprenditore di successo con la sua Biancoforno Spa, 55 milioni di fatturato di cui un terzo di export, verso Germania e Inghilterra soprattutto. Ma anche padre padrone insieme al fratello Franco di una fabbrica di prodotti dolciari dove i 196 addetti – compresa una trentina di interinali con 10, 15 anni di anzianità di servizio senza mai assunzioni dirette – sono ancora costretti ad aspettare via whatsapp i turni di lavoro. Turni che poi non si sa quanto finiscono, visto che è il caporeparto con una pacca sulla spalla a dare lo stop alla giornata, oppure a comunicare verbalmente che si deve continuare a lavorare ancora “per esigenze produttive”.

La secchiata d’acqua gelata che ha fatto traboccare un vaso già colmo da anni nell’azienda di Fornacette, nel comune di Calcinaia a pochi chilometri da Pisa, è stata la querela per diffamazione ai danni di Natasha Merola, segretaria provinciale della Flai, accusata dai fratelli Lami di averli insultati con un messaggio whatsapp, indirizzato peraltro solo alle lavoratrici e ai lavoratori tesserati con la categoria della Cgil. Una denuncia per giunta arrivata quando, grazie alla mediazione di Unionfood, era stato congelato uno sciopero indetto su una vertenza che riguardava anche altri aspetti poco chiari della vita quotidiana in azienda. Come, ad esempio, la storica indisponibilità della proprietà e del management a far svolgere, come da contratto, assemblee sindacali all’interno della fabbrica.

“Un segretario generale in genere non interviene durante le trattative sui territori – spiega Mininni – e questo signore aveva anche chiesto di incontrarmi. Ma la notifica della querela, arrivata proprio la sera prima di uno sciopero che avevamo fermato, mantenendo solo un presidio che era in corso da giorni fuori dai cancelli, ci ha convinto a fermare al momento ogni discussione. Ad Unionfood ho detto che non facciamo trattative con la ‘pistola sul tavolo’. E la stessa associazione datoriale a quel punto ha fatto un passo indietro, prendendo atto della volontà della proprietà di non ritirare la querela”.

Da locale la vertenza è diventata nazionale, dopo una interrogazione parlamentare del deputato Marco Grimaldi di Avs in cui si denunciano “ricatti, accuse e ostilità della dirigenza verso chi rivendica i propri diritti. Ci segnalano persino investigatori privati messi a seguire i rappresentanti sindacali. Su tutte queste violazioni chiediamo un’informativa urgente della ministra Calderone”. Sulla stessa linea l’interrogazione presentata della senatrice Ylenia Zambito del Pd, che ieri ha fatto visita all’azienda.

E’ saltato naturalmente l’incontro che stato inizialmente fissato il 4 giugno per un nuovo round della vertenza. Anche la Cgil Toscana guidata da Rossano Rossi, presente più di una volta al presidio operaio in corso da giorni, è mobilitata. E la Camera del Lavoro di di Pisa, con il segretario generale Alessandro Gasparri, avverte: “Se la querela a Natasha Merola non sarà ritirata, la protesta andrà avanti e sarà ancora più massiccia. La prossima volta, davanti alla fabbrica, i manifestanti non saranno più 200, saranno migliaia”.

“Il problema è molto serio – chiude Mininni – e non è certo colpa del sindacato. Non siamo noi che facciamo chiudere le imprese, le imprese chiudono quando ci sono dei manager inadatti, che nono sono in grado di pianificare le produzioni. I lavoratori hanno il diritto di conoscere con ampio anticipo i turni in fabbrica, non certo con un messaggino la sera prima. Ed è impensabile che in un’azienda così grande, con una sala mensa per 200 addetti, non si possano fare assemblee sindacali, cercando così di scoraggiare la partecipazione”.