È possibile individuare un ritmo per questa Berlinale 2023, un andamento, un ritornello intorno al quale le immagini si convocano e si mostrano al pubblico festivaliero? Assolutamente sì, e non solamente uno, ma una molteplicità. Scegliendo però di rimanere fedeli al carattere intrinsecamente musicale del ritmo, quello del club è uno scenario scelto da più di un film in programma. In sintonia d’altronde con la città di Berlino, paesaggio urbano europeo della techno per eccellenza, dove la musica ha rappresentato una forza propulsiva importante per la gioventù coinvolta nel processo di unificazione. La piega che questa storia ha preso la conosciamo, il circuito dei free party si è trasformato in parte in attrazione turistica, con le famose file «pregando per un sì» dei temibili buttafuori. Resta il fatto che i dj e i musicisti elettronici che scelgono la capitale tedesca come propria base non si contano, e un precipitato di questo fenomeno attraverserà anche la Berlinale, in particolare con tre film nella sezione Panorama.

Vita da club
Ci porterà infatti in una discoteca Patric Chiha, che torna a Berlino dopo Si c’était de l’amour del 2020. Anche lì si danzava al ritmo trascinante di sonorità elettroniche, i protagonisti erano i danzatori della compagnia della coreografa Gisèle Vienne, nel dietro le quinte del suo bellissimo spettacolo Crowd, ambientato in un immaginario free party. Il nuovo film del regista austriaco, La Bête dans la jungle, rielaborerà alcuni di quei temi in un lavoro di finzione. Anche in questo adattamento dell’omonimo racconto di Henry James è infatti al centro una riflessione profonda sulla temporalità, accompagnata dal tentativo di sfuggirle attraverso quell’ancestrale mezzo di evasione che è la danza. Il film inizia nel ’79, John e May trascorrono le loro notti in uno sfavillante club in attesa che qualcosa di straordinario avvenga. Passeranno così 25 anni, con gli eventi del mondo esterno che si susseguono, con l’evoluzione della musica, delle droghe e delle mode, dalla disco alla techno.

C’è curiosità poi per il debutto nel lungometraggio del regista francese Anthony Lapia, anche il suo After respirerà al ritmo delle feste in un contesto più informale come quello di un parcheggio sotterraneo. Sopra, la notte parigina e il lavoro che non si ferma mai; sotto, il linguaggio dei corpi, la ricerca di un’estasi liberatoria, la gioventù. I due mondi si incontreranno nella dimensione mediana dell’afterparty, a cavallo tra notte e giorno, tra apice e quotidianità.

Molto atteso dalla stampa di lingua inglese, anche Femme di Sam H. Freeman e Ng Choon Ping inizia in un club dove si esibisce la drag queen Aphrodite Banks interpretata da Nathan Stewart-Jarrett . La performer subisce però un brutale attacco omofobo, e il film si trasforma in un thriller di vendetta, in difesa della comunità lgbqtq+. Attraverso Femme possiamo così intercettare un altro ritornello della Berlinale – inteso come entità riconoscibile e trascinante – ovvero la tematica di genere.

La differenza in numeri
Saranno numerose le visioni che la esploreranno, e se il trend ormai è diffuso in tutti i maggiori festival cinematografici, bisogna dire che a Berlino è sempre stata una priorità. Basti pensare che il Teddy Award – trasversale a tutte le sezioni, premia lavori che comunicano temi e contenuti queer «per contribuire a una maggiore tolleranza, accettazione, solidarietà e uguaglianza nella società» – è giunto alla trentasettesima edizione. Sono poi piuttosto interessanti i numeri del dossier sulla gender evaluation proposti dal festival, dove vengono messe a confronto le percentuali di genere tra film iscritti e titoli poi scelti nel programma – così da fare una fotografia dello «stato dell’arte» e di come si sono mossi programmatori e programmatrici. Gli oltre settemila film che sono stati iscritti sperando di partecipare al festival erano diretti al 33% da donne, al 57.1% da uomini, al 3.2% da persone non binarie. Nei titoli selezionati le percentuali sono rispettivamente al 34.8%, al 51.1% e al 4.1%. La partecipazione di donne e individui non binary è stata quindi leggermente incentivata, ma rimane un dato di diseguaglianza all’origine – seppur sempre più ridotto – su cui il campo di discussione rimane aperto.

Tornando ai titoli in programma che proporranno un’elaborazione del vissuto e delle istanze della comunità lgbtq+, c’è grandissima curiosità per l’esordio alla regia del filosofo queer Paul B. Preciado. Non è la prima volta che le sue teorie trovano un riflesso nelle pratiche artistiche – pensiamo, ad esempio, allo spettacolo Mdlsx della compagnia Motus – ma è certo un totale debutto quello di Preciado dietro la macchina da presa. Il suo film, presentato nella sezione Encounters, si intitola Orlando, ma biographie politique ed è indirizzato a Virginia Woolf. L’Orlando della scrittrice era infatti un giovane uomo che diventa una donna; a distanza di quasi un secolo dalla pubblicazione del libro, la storia di Orlando appartiene a molti e a molte, tra cui lo stesso Preciado, che nel film torna sulle tracce della propria trasformazione personale in un viaggio che si promette poetico, abbracciando teoria, letteratura, immagini e vita.

L’esperienza della transizione sarà al centro di altri due documentari che destano curiosità, ancora una volta in Panorama, Kokomo City e Transfariana. Il primo è il film d’esordio della cantante trans D. Smith, ed è incentrato sull’incontro con quattro sex workers nere tra New York e Georgia. Già applaudito al Sundance, realizzato in bianco e nero, le protagoniste si aprono e consegnano alla camera profonde riflessioni dai risvolti politici, inframmezzati a momenti performativi e biografici.

Transfariana, di Joris Lachaise, racconta invece il punto di fusione tra le Farc – le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – e la comunità trans, avvenuto inizialmente grazie ad un amore sbocciato in carcere. Una storia in cui le lotte per un mondo diverso finalmente convergono, e dove alcuni materiali video sono stati girati dagli stessi protagonisti nelle prigioni in cui erano rinchiusi.

Nella sezione Forum infine, un amore tra due donne emerge tra le righe di una corrispondenza in Betweeen Revolutions di Vlad Petri. L’una è in Iran, l’altra in Romania, e le immagini d’archivio che coprono poco più di un decennio (dalla fine dei ’70 all’inizio dei ’90) raccontano le speranze e i fallimenti legati ai rivolgimenti avvenuti nei due Paesi. Nella corrente della storia, la passione tra le due studentesse rimarrà una potenzialità inespressa.

Back to the future
Per le note finali di questa ipotetica canzone berlinese, ancora tutta da ascoltare, scegliamo tre titoli per un affondo nella storia della musica dalle sonorità più pop. Love to Love You, Donna Summer, di Roger Ross Williams (il primo regista afroamericano ad aver vinto l’Oscar) in coppia con Brooklyn Sudano, sarà un ritratto inedito della regina della disco. Kiss The Future, di Nenad Cicin-Sain, mostra invece il mitico concerto che gli U2 tennero a Sarajevo subito dopo la fine della guerra. Infine Joan Baez I Am A Noise, diretto da tre donne (Karen O’Connor, Miri Navasky, Maeve O’Boyle), di cui la prima è un’amica personale dell’artista, sarà una discesa tra i demoni della cantautrice e attivista, a partire dal tour di addio passando per la dolorosa relazione con Bob Dylan, con materiali d’archivio inediti e un ritratto intimo che promette di essere not just for Baez fans.