Nel comunicato stampa che annuncia i concorsi della prossima Berlinale (15-24 febbraio) si legge: «I festival cinematografici offrono uno spazio per l’espressione artistica e consentono un dialogo pacifico. Crediamo che attraverso il potere dei film e delle discussioni aperte, possiamo contribuire a promuovere l’empatia, la consapevolezza, la comprensione. Come istituzione culturale, ci schieriamo con decisione contro tutte le forme di discriminazione e ci impegniamo per la comprensione interculturale». Sembra insomma che il festival tedesco voglia mettersi al riparo da eventuali critiche e soprattutto dalle accuse mosse alla Germania di razzismo e censura nei confronti degli artisti palestinesi e di tutte e tutti coloro che esprimono posizioni critiche sulla violenza di Israele dopo il 7 ottobre, col massacro che continua a mettere in atto e l’ormai più che evidente obiettivo di cancellare la presenza palestinese nell’area – dalla deportazione nei Paesi africani alla proposta davanti alla Commissione Ue ieri del ministro Katz di «trasferire i palestinesi su un’isola artificiale» di fronte a Gaza.

Proprio su questo è nata la protesta espressa da Strike Germany.org, la petizione lanciata in rete che in breve tempo ha raccolto un altissimo numero di firme, con l’invito a «scioperare» dalle istituzioni tedesche, raccolto dal regista Ayo Tsalithaba che ha ritirato dalla selezione del Forum il suo film, Atmospheric Arrivals.

DI AUTORI PALESTINESI non ce ne sono nel cartellone presentato ieri – fatta eccezione per il film No Other Land, in Panorama, firmato collettivamente sia da israeliani che da palestinesi – anche se sappiamo che di film pronti ce ne sono, ma certo nell’attuale clima teutonico poteva essere esplosiva una voce palestinese – basta vedere quanto accaduto a Idfa col direttore che dopo avere assecondato la protesta ha subito fatto marcia indietro per gli attacchi ricevuti. Per non dire delle dimissioni dell’intero gruppo del comitato di Documenta Kassel perché non potevano lavorare liberamente.

La selezione dunque di quella che è anche la Berlinale di addio del direttore Carlo Chatrian e di Mariette Riseenbeeck – al cui posto arriverà l’inglese Tricia Tuttle annunciata già diverse settimane fa con assai poco fair play – sarà aperta da Small Things Like These di Tim Mielants, con la star di Oppenheimer Cillian Murphy.
L’Italia è presente nel Concorso internazionale (18 titoli) con due film: uno è Another End, con cast internazionale (tra cui Gael Garcia Bernal), opera seconda di Piero Messina di cui avevamo visto anni fa (2015) il non proprio esaltante L’attesa in gara alla Mostra di Venezia – nel frattempo il regista ha fatto serie. E l’esordio di Margherita Vicario, musicista e cantautrice che in Gloria! racconta la storia di una giovane talentuosa che nel 700 sfida le convenzioni inventando con altre ragazze una musica ribelle. Nelle altre sezioni sono stati già annunciati Quell’estate con Iréne di Carlo Sironi (GenrationPlus) e Il cassetto segreto di Costanza Quatriglio (Forum). A cui si aggiungono (Berlinale Special) Dostoevskij dei D’Innocenzo e Supersex di Francesca Maniero.

Sempre in concorso troviamo le nuove regie di Olivier Assayas (Hors du temps) e di Bruno Dumont (L’Empire), ritroviamo e sempre con piacere l’inarrestabile Hong Sang-soo (A Traveller’s Needs) di nuovo insieme a Isabelle Huppert. In Black Tea Abderrahmane Sissako racconta la storia di una giovane donna che fuggita dalla Costa d’Avorio approda in Cina, in una regione nella quale la diaspora africana incontra la cultura locale, illuminando così in questo percorso i rapporti che già da tempo legano questi due continenti.

«DES TEUFEL’S BAD» è firmato da Veronika Franz, abituale sceneggiatrice di Seidl, insieme a Severin Fiala, e si ispira a una vicenda accaduta nel XVIII secolo in Austria, mentre Mati Diop con Dahomey ripercorre la storia del colonialismo attraverso la parabola delle opere d’arte restituite al Benin nel 2021, che erano state depredate dai francesi.
In Berlinale Special troviamo anche il regista Orso d’oro del 2023, Nicolas Philibert, che con Averroé & Rosa Parks continua la ricerca avviata con Sur l’Adamant. E in Encounters Ruth Beckermann col suo nuovo Favoriten, una ricerca nella scuola austriaca tra i bambini dell’immigrazione.