Due libri in tre anni, articoli a quattro mani ogni settimana sulla stampa liberale, Marco Bentivogli, segretario generale della Fim Cisl, è sicuramente il sindacalista più grafomane della storia. L’ultima sua fatica non si discosta dal libro più recente e da tutti i suoi scritti. Contrordine compagni (Rizzoli, pp. 300, euro 19) aspira addirittura a diventare un «manuale di resistenza alla tecnofobia per la riscossa del lavoro e dell’Italia».

DEL «MANUALE» ha alcuni grafici, fin troppe citazioni – gran parte rigorosamente di suoi sodali, mentre si è dimenticato del «suo maestro» Pierre Carniti – e le dodici pagine di note finali. Per il resto si tratta di un lungo spot al piano Industria 4.0 del suo amico Carlo Calenda e di rilanciare l’uguaglianza delle opportunità: una ricetta che puzza di blairismo fuori tempo.

L’assunto che permea il libro e tutto il pensiero del sindacalista-scrittore è il seguente: la sinistra guarda al passato, per rilanciare il paese serve abbracciare la trasformazione tecnologica che – diversamente da quello che dicono i gufi – aumenterà l’occupazione e migliorerà la qualità del lavoro. Il quadro idilliaco del futuro si compone anche dello slogan «lavorare meno, lavorare meglio» ma non «lavorare tutti» e senza specificare «a parità di salario» e tanto meno prevedendo un vero reddito di cittadinanza universale.

ECCO QUINDI che in questa visione «l’uomo è il cuore dell’algoritmo» e quindi della «quarta rivoluzione industriale»: big data, intelligenza artificiale e l’immancabile blockchain (Bentivogli sta studiando l’inglese) saranno gli strumenti per portarla avanti in «un ecosistema 5G» (sic).

LA SECONDA PARTE è un inno al lavoro del futuro in cui non manca la confutazione della rilevanza dei problemi della gig economy: «occupa in Italia tra settecentomila e un milione di persone, solo il dieci per cento è costituito dai rider impegnati per le piattaforme della food delivery», sottolinea Bentivogli denunciando la sovraesposizione mediatica del caso Foodora come fece al tempo di Pomigliano per gli operai Fiom che si opponevano al taglio dei diritti. Per lui la gig economy è fatta spesso «di alte professionalità», ma non lo dite agli operai di Amazon.
Nel libro ricompare tutto l’armamentario post ideologico di Bentivogli: l’antagonismo sindacale è considerato luddismo, servono solo compartecipazione con gli imprenditori e welfare aziendale. Senza dimenticare lo spassosissimo paragrafo: «Ma siamo sicuri di essere tutti più poveri?», evidentemente rivolto ai suoi iscritti dopo la firma dell’ultimo contratto Fca.

ANCHE IL SOSTANTIVO «compagni» viene sottratto alla sinistra: «ne abusa – intima Bentivogli – ha una radice cristiana». E ancora: «la sinistra che parla ossessivamente di lotta alle diseguaglianze senza veramente comprenderle (…) ha dimenticato la lezione di Don Milani» e ha «negato il bisogno di sicurezza degli italiani». È un crescendo: «La sinistra ha regalato la coscienza popolare ai populisti (…) perché ha preferito caricare di ideologia il lavoro per poi scaricarlo alle culture più nichiliste della fine e della liberazione dal lavoro». Infine: «Certa sinistra è rinchiusa in una zona a traffico limitato», scrive citando «il collettivo Parioli-Prati», quartieri romani alti in cui però abitano quasi tutti i suoi potenziali lettori.

L’AVANZAMENTO intellettuale di Bentivogli – figlio di Franco, grande dirigente negli anni ’70 ma che rispetto al padre ha fatto una carriera repentina avvicinandosi sempre più acriticamente al neoliberismo – è però comprovato. Come da autocitazione è passato dalle tre R del penultimo libro sulle scelte «radicali, rifondative e rigeneratrici» alle tre S di quest’ultimo: «silenzio, solitudine, semplicità» citate filosoficamente «per il recupero dell’attenzione e della consapevolezza utili all’azione». Peccato che Bentivogli non le applichi a se stesso.