Sono cominciati ieri i rimpatri dei profughi siriani in Libano. La devastante guerra civile che dal 2011 ha martoriato la vicina Siria ha riversato in Libano milioni di persone. Le stime ufficiali del sono discordanti e parlano di un milione (Unhcr), un milione e mezzo (governo libanese), ma sono certamente al ribasso perché è praticamente impossibile calcolare il numero esatto di rifugiati, ancor meno quello dei nati in Libano.

ANNUNCIATI dal presidente della repubblica uscente Aoun il 12 ottobre, i rimpatri «graduali» sono partiti dalle zone di Tripoli nel nord, Arsal nella valle della Bekaa, Nabatieh a sud, e sono stati ieri circa un migliaio.

Rimpatri su base «volontaria», avevano tenuto a specificare le autorità libanesi e siriane, ma Diana Semaan, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa, aveva subito smentito questa versione: «Le autorità libanesi stanno accelerando i cosiddetti rimpatri volontari (…) quando è chiaro a tutti che i siriani in Libano non sono in una posizione tale da poter prendere decisioni libere e informate sul loro ritorno. (…) Facilitando entusiasticamente questi ritorni, le autorità libanesi sanno benissimo di esporre i rifugiati siriani al rischio di atroci abusi e persecuzioni una volta in Siria».

Le obiezioni al piano, già levate quando il ministro libanese ad interim per gli sfollati Chafreddine ne aveva annunciato l’implementazione a luglio, sono state contrastate dall’ambasciatore siriano in Libano Ali Abdelkarim Ali, il quale ha detto che secondo i dati dell’Onu l’89% dei rifugiati vorrebbe tornare in Siria.

A oggi non esistono garanzie che una volta in Siria non ci saranno persecuzioni per disertori e oppositori del regime. Quello che l’Onu stima in realtà è che il 90% dei siriani in Libano viva in condizioni di povertà estrema e la misura di quest’emergenza è l’incremento del numero di imbarcazioni illegali che partono dal nord del paese, già causa di tragedie e di centinaia di morti.

LA SITUAZIONE dei rifugiati siriani in Libano, se da un lato è sempre stata difficile, con l’acuirsi della crisi economica libanese che ha esponenzialmente allargato le fasce di povertà e aggravato condizioni già estreme, è in effetti precipitata. Da oltre tre anni ormai il Libano vive la più grande emergenza economica e finanziaria della sua storia e anche i campi hanno sofferto un ulteriore peggioramento.

La questione dei profughi siriani in Libano è molto complessa. Le truppe di occupazione siriane hanno lasciato il paese solo nel 2005, dopo che per trent’anni Damasco è stato uno degli attori principali della guerra civile (1975-’90) prima, e della politica libanese poi. Gli Assad, alleati storici di Hezbollah, continuano anche oggi a rappresentare una delle forze che in maniera più o meno diretta continuano a influenzare la già disastrata politica libanese.

La questione, mal gestita dal governo, ma anche dall’Onu, ha fatto sì che i rifugiati divenissero un terzo della popolazione attuale in un piccolissimo paese (10mila km²). In passato alcuni campi profughi erano stati luoghi di reclutamento di Jabat al-Nousra e di Daesh, arginati nel 2014 dalle milizie di Hezbollah nell’ormai famosa battaglia di Arsal.

ASSENZA di un piano, condizioni socio-economiche di rifugiati e libanesi, ragioni storiche e politiche hanno favorito un clima di intolleranza. Più volte in passato sono stati indetti coprifuoco arbitrari, bruciati accampamenti, compiute innumerevoli detenzioni arbitrarie da parte delle autorità libanesi.

Allo stesso tempo, i siriani sono manodopera a bassissimo costo, mentre l’Onu e altre ong certificano l’aumento di violenze nei confronti dei siriani negli ultimi anni. E ancora, violenza di genere, sfruttamento della prostituzione, abusi su minori e tutta la serie di abusi perpetrati da siriani su siriani e libanesi su siriani dovuti alle condizioni di marginalità e povertà multidimensionale.

Ancora una volta sembra che rapporti di forza debbano essere definiti sulla pelle di chi è più debole. Abbass Ibrahim, capo della sicurezza generale, ha risposto alle critiche con un semplice «è nell’interesse dei libanesi» che i rimpatri vengano effettuati al più presto.