L’ordigno artigianale esploso ieri in tarda mattinata sulla strada del convoglio militare italiano era potente. I soldati a bordo dei tre veicoli corazzati Lince sono rimasti illesi – certifica la Farnesina – ma uno dei mezzi è andato quasi distrutto e i testimoni ripresi dal sito GoobJoog segnalano almeno un civile morto, un motociclista che passava di lì al momento dell’esplosione dello Ied, il cui corpo – si vede nelle foto – è stato recuperato dai paramedici della Mezzaluna rossa. I vetri dei palazzi nelle vicinanze dell’Accademia militare Joalle Siyad, dove si stava dirigendo il convoglio, sono andati in frantumi e un’alta fumata bianca è stata vista a isolati di distanza.

I MILITARI ITALIANI nella capitale somala partecipano alla missione europea Eutm a sostegno del governo federale di transizione, con compiti di supporto logistico e addestramento delle forze di sicurezza locali. Il ministero della Difesa chiarisce che i soldati italiani sono «al massimo 123» con 20 mezzi militari.

Non è la prima volta che il contingente finisce nel mirino dei terroristi collegati ad al Qaeda: un attacco del tutto simile risale al 1° ottobre 2018.

Ma ieri, quasi in contemporanea, gli Shabab hanno sferrato anche un assalto in grande stile alla base Usa di Bale Dogle a circa 90 km da Mogadiscio, nel Basso Shabelle. Lì un kamikaze si è fatto esplodere a bordo di un’autobomba al cancello d’ingresso dell’hangar e ne è seguito un intenso conflitto a fuoco dove gli americani hanno utilizzato anche droni e contractor. Anche gli americani sono lì per addestrare forze d’élite della milizia Danab fedele al governo federale, ma secondo inchieste indipendenti su siti come Newsmakers i loro raid non risparmiano i civili dei villaggi usati come basi dagli Shabab.

A Mogadiscio, dopo l’uccisione del sindaco Omar Osman il 24 luglio, non è passata settimana senza morti per l’esplosione di Ied nelle strade. Persino il giovane primo ministro, Hassan Ali Kheyre, e il giudice Hassan Ali Shuute, sono scampati alla morte per un soffio.

ALL’ASSEMBLEA ONU il presidente somalo Farmajo ha potuto pronunciare il suo discorso a notte fonda e, ancorandosi all’attuale sensibilità ambientale, ha puntato il dito contro le connivenze internazionali per l’esportazione illegale di carbone dalla Somalia, che va a finanziare i gruppi terroristici, oltre a favorire la deforestazione, l’abbandono delle campagne, la siccità, la carestia e le alluvioni. L’Onu calcola che dal 2011 al 2017 in Somalia siano stati abbattuti 8,2 milioni di alberi per produrre carbone che all’80% viene importato illegalmente negli Stati del Golfo: Emirati, Bahrein, Kuwait e Oman.

QUESTO COMMERCIO ingrossa le tasche degli Shabab che lo gestiscono sia per gli attentati sia come mezzo per il consenso sociale, visto che tramite il taglio degli alberi e la produzione di carbone danno modo ai più poveri di avere una seppure misera fonte di guadagno. I proventi servono poi a finanziare la carità wahabita. Risale alla scorsa settimana la zakat, elemosina, a Mogadiscio ad opera di Musa Abdi Arale, erede dello sceicco Ali Jabal, capo di Hizbul Islam, gruppo di miliziani anti-etiopi con un rapporto complicato con agli Shabab, ucciso nel 2017. Ha distribuito 75 mila dollari a 150 famiglie poverissime. Così la voragine sociale tra la classe politica della diaspora, con standard di vita semi-occidentali, protetta dai contingenti militari, e la popolazione più misera, crea, per tramite dei Paesi del Golfo, devastazione ambientale e impossibilità di creare uno Stato democratico.