È stato rilasciato su cauzione il cantante pop iraniano Shervin Hajipour. Era stato arrestato a fine settembre, dopo la pubblicazione via social della canzone Baraye, parola persiana che significa «per», «a causa di».

Proprio le ragioni delle proteste scoppiate in Iran dopo la morte di Masha Amini, dopo essere stata fermata dalla polizia morale, sono il fulcro della canzone, collage di tweet di cittadini iraniani in cui si elencano i motivi della rivolta in corso contro la Repubblica islamica.

«PER IL BENE di ballare per le strade; per la paura che si prova mentre ci si bacia; per mia sorella, per tua sorella per le nostre sorelle», così recita una strofa della canzone.

Nell’arco di 48 ore dalla pubblicazione, il video dove Shervin canta Baraye ha raggiunto 40 milioni di visualizzazioni, fino al momento della cancellazione del post, seguita all’arresto del cantante.

Ma Baraye è diventato l’inno delle proteste iraniane in tutto il mondo, da Teheran a New York viene intonata da chi protesta contro il regime iraniano.

Appena rilasciato, Hajipour è tornato su Instagram per rassicurare i suoi followers e per dissociarsi dall’uso politico fatto del suo brano. «Mi dispiace che alcuni movimenti al di fuori dell’Iran abbiano fatto usi politici impropri di questa canzone», ha scritto Shervin. Che conclude: «Non cambierei questo paese con nessun altro e sosterrò la mia patria, la mia bandiera, la mia gente».

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PAROLE CHE SUONANO come una presa di posizione forzata e che assomigliano alle confessioni estorte con minacce e torture a chi dissente con le politiche della Repubblica islamica.

Diversi gruppi per i diritti umani hanno invitato lo Stato iraniano a porre fine all’uso delle confessioni forzate, senza però raggiungere l’obiettivo.

Cancellata da Instagram, Baraye rimane disponibile su diverse piattaforme come Twitter e YouTube. E ricorda le «colonne sonore» delle rivolte arabe di 11 anni fa, canzoni diventate il simbolo delle mobilitazioni contro i regimi.