«In decenni di detenzione nel carcere speciale non avevano mai visto un Luigi Spera». Chissà cosa hanno pensato i sette brigatisti all’ergastolo che, insieme a un anarchico, sono tumulati nella sezione di alta sorveglianza della casa di reclusione San Michele, ad Alessandria. Certo alcuni riflessi dello scorrere del tempo e dei cambiamenti globali arrivano anche in quelle celle singole da tre metri quadrati. Così negli ultimi tempi hanno visto passare soggetti accusati di jihadismo o terrorismo internazionale. Mai, però, uno che dicesse: «Sono un pacifista e voglio tornare a fare il vigile del fuoco». Le parole le riferisce il deputato di Alleanza verdi sinistra Marco Grimaldi, che la scorsa settimana è entrato nella prigione piemontese per andare a trovare Spera.

Il pompiere siciliano ci è finito il 13 aprile, accusato di «atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi» e «istigazione a delinquere con finalità di terrorismo». Parole grosse. I fatti, invece, dicono che la sera del 26 novembre 2022 nella sede della Leonardo di Palermo un gruppo di sette persone lancia un fumogeno e del materiale incendiario. Causando un piccolo incendio nella zona esterna all’edificio.

Due giorni dopo Antudo, movimento indipendentista legato alla sinistra antagonista dell’isola, pubblica il video dell’azione sui suoi canali social, spiegandone le ragioni: è una protesta contro l’azienda italiana «produttrice di morte» perché vende le sue armi alla Turchia. Proprio in quel periodo Erdogan aveva ordinato di ricominciare a bombardare i curdi in Siria e Iraq, causando decine di morti e ingenti danni alle infrastrutture civili.

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Gli inquirenti si mettono subito al lavoro. Analizzano il contenuto di un sacchetto di plastica lasciato sul posto. Dentro trovano un contenitore con liquido infiammabile e tracce di dna. Passano in rassegna tutte le telecamere della zona e andando a ritroso vedono da dove è arrivato il gruppetto. Identificano un motorino e due macchine. Una ha dentro un dispositivo gps. Sarebbe partita da una strada adiacente al centro sociale Ex Carcere. La polizia risale la corrente dei canali social: dagli account all’indirizzo ip, fino al dispositivo che ha postato il video. Esamina i gruppi whatsapp e telegram che gli attivisti usano per comunicare tra loro.

Alla fine nel registro degli indagati finiscono sei nomi. La posizione più complicata è quella del vigile del fuoco, contro cui depongono una serie di indizi: la proprietà dell’auto, alcune foto di un libro citato dal comunicato custodite nel telefono, il codice genetico. Questi elementi sono affiancati al profilo militante di Spera: è finito a processo per azioni antifasciste contro sedi ed esponenti di Forza nuova e alcuni reati di piazza.

A giugno 2023 lui e gli altri indagati ricevono una perquisizione. La procura formula i reati e ipotizza l’aggravante terroristica perché, sostiene, l’azione ambiva a influenzare il comportamento della Leonardo e quello dell’Italia, oltre a intimidire la popolazione. Nel marzo 2024 il gip dispone due obblighi di firma e un arresto: il vigile del fuoco finisce nel carcere Pagliarelli di Palermo. Il magistrato ritiene che ci siano indizi di colpevolezza, contestati dalle difese, ma esclude la finalità eversiva: non basta la potenziale pericolosità dell’evento ma questo deve indurre timore e paura nel soggetto passivo. Evidentemente l’azione di Antudo non ha avuto questo effetto né sul dodicesimo produttore mondiale di armi e primo a livello europeo, né su uno degli Stati membri del G7.

Così il reato viene riqualificato: escluso il terrorismo, resta l’articolo 423. Ovvero incendio, crimine che prevede comunque pene alte, tra tre e sette anni.

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Ricorrono sia la difesa che la procura. Una chiede la scarcerazione, l’altra contesta la riconfigurazione del reato. Il tribunale del riesame dichiara inammissibile la prima impugnazione, rispetto alla seconda si spinge oltre: conferma l’accusa di atto terroristico e aggiunge tale aggravante anche all’altra ipotesi di reato, quella di istigazione a delinquere.

«Gli elementi probatori non sono tali da stabilire con certezza la compartecipazione all’evento, ma questo si vedrà nel dibattimento – afferma Giorgio Bisagna, difensore di Spera -. Ora il punto è la qualificazione giuridica dei fatti. C’è una granitica giurisprudenza della Cassazione, che ha riguardato anche i processi ai No Tav, che esclude possano essere considerati attentati terroristici quelli in cui manca l’idoneità a cambiare l’orientamento politico della struttura verso cui sono indirizzati».

La differenza, come è facilmente intuibile, non è di poco conto. Specialmente in Italia, con le leggi speciali introdotte a ondate negli ultimi 50 anni. «Quando entriamo nei reati di natura eversiva o terroristica si applica il doppio binario, sono equiparati a quelli di mafia – continua Bisagna, che questa settimana ha depositato il ricorso in Cassazione -. Si presume che il carcere sia l’unica misura applicabile. I termini della detenzione preventiva raddoppiano. Il regime peggiora».