Oggi in Azerbaigian si terranno le elezioni presidenziali e appare scontata la conferma di Ilham Aliyev, in carica dal 2003. Per la prima volta dalla dissoluzione dell’Unione sovietica parteciperanno al voto 20mila azeri da poco insediatisi nei seggi del Nagorno-Karabakh, al centro di tre guerre con la confinante Armenia. Oltre 120mila armeni residenti nella regione sono stati costretti a evacuare in seguito all’ultima offensiva azera, lo scorso settembre, e ora il governo di Baku sta incentivando in tutti i modi gli azeri, anche offrendo degli incentivi per il rientro a chi si trova all’estero.

Le elezioni erano previste per il 2025 ma il presidente in carica ha deciso di convocarle in anticipo di oltre un anno. Ilham Aliyev si è presentato al voto come l’eroe che ha riunificato il Paese, colui che è stato in grado di rimediare alla cocente sconfitta del 1993 (che aveva segnato l’inizio di quasi 30 anni di governo separatista filo-armeno) e come grande stratega geopolitico grazie all’alleanza di ferro con la Turchia, alleato fondamentale nelle guerre contro Erevan, e ai buoni rapporti con Mosca, che ha scelto Baku nonostante il trattato di mutuo soccorso militare che la legava all’Armenia. La guerra tra Ucraina e Russia, inoltre, ha permesso all’Azerbaigian di aumentare significativamente le esportazioni di idrocarburi verso l’Occidente, contribuendo a far crescere il pil.

Nonostante l’Azerbaigian sia formalmente una repubblica, Aliyev è succeduto come un monarca a suo padre, Gaydar Aliyev, che aveva “abdicato” nel 2003 lasciandogli il ruolo di presidente poco prima di morire. Gayday Aliyev a sua volta era stato deus ex machina del Paese per quasi 30 anni, partendo da capo del Kgb azero fino a diventare primo presidente dello stato post-sovietico. Dunque la dinastia Alyiev è di fatto al potere da oltre 40 anni a Baku e alle elezioni di oggi, che seguono quelle plebiscitarie del 2018, sfiderà ben 6 candidati. Tutti, stando ai sondaggi, senza speranza. Secondo le associazioni umanitarie e i gruppi di attivisti il periodo pre-elettorale è stato segnato da arresti sommari, repressione del dissenso e della libertà di stampa. Denuncia Amnesty international: «Dal novembre 2023 le autorità di Baku hanno arrestato 13 dissidenti pacifici, tra i quali giornalisti, oppositori politici e un difensore dei diritti umani. Almeno 11 di loro sono tuttora in carcere per dubbie accuse. Molte altre persone, giornalisti inclusi, sono fuggiti all’estero per il timore di persecuzioni». Una missione dell’Osce, composta anche da membri italiani, si trova a Baku per vigilare su elezioni che si annunciano già poco trasparenti.