«Acceleriamo». «Rallentiamo». La disputa tra alleati di governo sul progetto di autonomia differenziata riparte identica a se stessa ogni settimana. Repliche stanche, eppure inevitabili. Nelle ultime settimane di campagna elettorale per le europee, la Lega deve convincere i suoi elettori che è sul punto di realizzare la riforma – prevista in maniera abbastanza ultimativa dal “contratto di governo” – anche se langue da oltre un anno. Da quando cioè il governo Gentiloni, nei suoi ultimi giorni, decise di far partire il percorso di concessione di maggiori competenze esclusive a tre regioni (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna). Dall’altra parte i 5 Stelle, che hanno lasciato andare avanti Salvini e la ministra per gli affari regionali Stefani, leghista anche lei, fino alla formale ripartenza dello scorso febbraio, adesso devono far vedere di avere a cuore le ragioni del mezzogiorno. E dunque frenano. E dunque si litiga, in replica.

«Per me siamo già in ritardo – attacca Salvini – ho sentito il governatore del Veneto Zaia, ho parlato con il presidente della Lombardia Fontana: noi siamo pronti. I dossier sono pronti, ma se c’è qualcuno dei 5 Stelle che ha cambiato idea rispetto a quello che aveva detto ai lombardi e ai veneti un anno e mezzo fa, lo dica, altrimenti non si capisce questo tirare in lungo». L’ultimo scontro aperto sul dossier c’è stato durante il famoso Consiglio dei ministri notturno del 23 aprile, quando alle spinte dei grillini sul «salva Roma» Salvini rispose minacciando di scatenare la ministra Stefani: «Allora noi partiamo con l’autonomia, è tutto pronto». Ma tutto pronto non è, perché la ministra per gli affari regionali non ha ancora avuto il necessario concerto dei ministri girllini di sanità, beni culturali e ambiente. E neanche i ministri di area leghista, come il titolare dell’istruzione, hanno potuto ignorare i problemi di squilibrio che si aprirebbero eventuale concessione alle tre regioni della maggiore autonomia che richiedono. Lo tesso Tria, poi, ha chiarito in parlamento che allo stato il Mef non è in grado di dire se è vero oppure no che la riforma non comporterà costi aggiuntivi per lo stato, così come viene propagandato dalla Lega a sentire la quale nessuno ci perderà niente.

E allora sull’autonomia, come su molto altro, tutto è rinviato a dopo le europee. I governatori leghisti di Lombardia e Veneto incalzano, anche il Pd Bonaccini che guida l’Emilia Romagna twitta: «È passato un anno! Provate a decidere invece che giocare a scaricabarile». Ma Di Maio frena: «Non facciamo le cose di fretta per scopi elettorali perché si rischia di fare pasticci e di creare scuole e sanità di serie A, B e anche di serie C». E la lite, sempre uguale, riparte.