Dopo il colpo di stato dei militari in Myanmar si complica la posizione di Aung San Suu Kyi, leader della Lega nazionale democratica e premier de facto del paese (non poteva esserlo ufficialmente perché la legge birmana vieta a chi è sposato a stranieri di avere incarichi pubblici): ieri i militari l’hanno incriminata per la presunta importazione illegale di ricetrasmittenti. I «walkie-talkie» sarebbero stati rinvenuti nell’abitazione della 75enne consigliera di Stato birmana nel corso di una perquisizione delle forze dell’ordine: secondo la polizia, come riportato da Agenzia Nova, i dispositivi sarebbero stati «importati illegalmente e usati senza permesso».

Ora rischia due anni di carcere; destino analogo per il portavoce della Lega nazionale per la democrazia (Nld), Kyi Toe. «Abbiamo informazioni attendibili secondo cui il tribunale di Dakhinathiri ha dato stabilito 14 giorni di custodia preventiva per Aung San Suu Kyi, fino al 15 febbraio prossimo, per violazione della legge sulle importazioni e le esportazioni», ha dichiarato Kyi Toe in un post su Facebook. Anche il presidente birmano Win Mying, arrestato durante il golpe, è stato incriminato, ma per violazione della legge sulla gestione nazionale dei disastri.

Nel frattempo la situazione internazionale tiene sotto controllo quanto accade, con azioni prevedibili ma destinate a fare discutere: mentre gli Usa pensano alla possibilità di nuove sanzioni contro la giunta militare (già colpita in precedenza, in modo nominale, per la questione della minoranza musulmana dei Rohingya) Russia e Cina hanno bloccato la richiesta dell’Onu di condannare il colpo di stato adducendo la consueta motivazione: non interferenza negli affari interni degli Stati (analoga posizione, benché meno pesante in termini internazionali, è stata espressa dalla Thailandia.

E proprio le proteste che hanno infiammato nei mesi scorsi Bangkok e le principali città thailandesi hanno trovato supporto e collegamenti con chi, anche in Myanmar, sembra dare segnali di non voler accettare quanto accaduto. Come spesso accade nelle proteste asiatiche, per ora l’organizzazione è per lo più virtuale.