L’Alta Corte di Londra ha concesso un ulteriore appello a Julian Assange contro l’estradizione negli Stati Uniti, riconoscendo come “non infondate” le argomentazioni della difesa del fondatore di WikiLeaks sul timore di un processo “non giusto” oltre oceano. Il verdetto dei giudici d’appello non entra nel merito del ricorso ma riapre la partita dell’estradizione, dopo che già a marzo era stato introdotto un primo spiraglio con il rovesciamento del “no secco” opposto in primo grado dalla giustizia britannica all’istanza di ricorso della difesa.

Il cofondatore di WikiLeaks avrà ora “alcuni mesi” per preparare un nuovo “processo d’appello”, spiega precisa la Bbc e, “per il momento”, resterà in custodia cautelare nel carcere di massima sicurezza londinese di Belmarsh.

I giudici – riporta l’ANSA – non hanno ritenuto evidentemente adeguate le presunte “rassicurazioni” degli avvocati del Dipartimento di Giustizia di Washington sui due punti sollevati dai difensori rispetto alla garanzia di un giusto processo negli Usa: il rischio di una condanna a morte – prevista se non altro sulla carta per il reato contestato ad Assange di violazione dell’Espionage Act del 1917, mai contestato in oltre un secolo a un giornalista – e il timore di non poter invocare il Primo Emendamento della Costituzione americana in materia di libertà d’espressione e d’informazione.