Li voleva Urso, li volevano i sindacati. E finalmente arrivano i cinesi. Peccato però che in realtà sia un capolavoro commerciale – senza nessuna produzione – di Carlos Tavares. E cioè colui il quale doveva perderci e invece ci guadagna.

Il ceo di Stellantis dimostra tutta la sua abilità di manager ribaltando la sfida che gli è stata portata, rigirandola a proprio favore. Il piatto lo aveva apparecchiato a ottobre, annunciando la partenership con la start up cinese Leapmotor con un investimento da 1,5 miliardi di euro, acquisendo una partecipazione di circa il 20%. Oggi arriva l’annuncio dello sbarco in Europa della joint venture, la società al 51% di Stellantis che inonderà il mercato di auto cinesi a buon mercato. Qualsiasi automobilista lo sapeva già: sulle elettriche la differenza di prezzo tra i marchi cinesi (Mg in testa) e quelli occidentali (per non parlare di Tesla) è dell’ordine delle decine di migliaia di euro. E ora quella fetta di mercato – verosimilmente in grande espansione – arricchirà le tasche di Stellantis che ha promesso una «campagna aggressiva». Al grido di «siamo pronti a competere, il protezionismo non credo sia la soluzione», dice Tavares rispondendo a Biden che proprio ieri ha aumentato i dazi contro le auto di Pechino.

E a confutare ulteriormente le parole (anche) di ieri del ministro Urso: «Le affermazione di Tavares confermano le nostre analisi, è assolutamente necessario che in Italia ci sia almeno un secondo produttore d’auto» – arriva lo stesso ministro che deve ammettere il colpo di genio di Tavares: «In Italia ce ne è solo uno, che tra l’altro intende importare e vendere nella propria rete auto cinesi».
Durante la conferenza stampa congiunta con Zhu Jiangming, fondatore e Ceo del produttore cinese, è stato annunciato che da settembre i veicoli del gruppo di Hangzhou saranno distribuiti in nove paesi, compresi Francia e Spagna. «Il piano sarà supportato da 200 punti vendita, le concessionarie Stellantis & You», ha spiegato Tavares.

Inizialmente saranno importati due modelli, il suv C10, elettrico e ibrido plug-in, e la compatta full electric T03.

Come detto almeno per ora nessuna produzione e dunque ricaduta occupazionale. L’eventualità sarà prese «sulla base dei costi di trasformazione delle fabbriche e tenendo conto della qualità», ha detto Tavares. Per adesso non è previsto neppure trasferimento di tecnologia, seppure sia chiaro che sull’elettrico ormai i cinesi hanno livelli quanto meno simili agli occidentali.

Dunque semplice commercializzazione di auto cinesi. Esattamente come fa Dr, la fabbrichetta di Di Risio che doveva fare concorrenza a Fca con grossi sponsor politici e mediatici e invece continua a mettere la targhetta Dr su auto completamente prodotte in Cina e immatricolate nello stabilimento a Macchia di Isernia con soli 150 dipendenti.

Capita l’antifona, tutti i sindacati usano la notizia per ribadire la richiesta al governo dell’illuso Urso: «Serve un confronto a palazzo Chigi con Stellantis».

«La produzione e l’assemblaggio dei modelli Leapmotor siano negli stabilimenti italiani, Stellantis ha una responsabilità sociale verso i lavoratori che, a differenza di altri paesi, sono in cassa integrazione», attacca Samuele Lodi della Fiom.