Mauricio Macri ha scelto l’abito del candidato qualunque, anziché quello del presidente in carica. E come tale domenica scorsa ha partecipato al dibattito televisivo, obbligatorio per legge, tra i sei candidati che competeranno il 27 ottobre per presiedere l’Argentina. Sei maschi, due dei quali avevano ottenuto insieme più dell’80% dei voti validi nelle elezioni primarie dello scorso 11 agosto.

LA FORMULA Alberto Fernández-Cristina Fernández de Kirchner (Frente de Todos) riuscì allora ad imporsi con il 49,49% dei voti sull’opzione Macri-Pichetto (Juntos por el Cambio), che non è andata oltre il 32,93%.

La differenza di quasi 17 punti ha fatto passare l’idea che il dibattito non avrebbe influenzato il termometro elettorale più di tanto. Inoltre ogni candidato ha avuto solo 13 minuti per parlare, in modo frammentato, durante le due ore di trasmissione, senza possibilità di avere appunti né di dialogare con gli altri. Sebbene l’attenzione fosse tutta su Macri e Fernández, hanno partecipato anche Roberto Lavagna, di Consenso Federal (ex ministro dell’Economia di Néstor Kirchner) che ottenne l’8,44% alle primarie, Nicolás del Caño, del Frente de Izquierda, partito trotzkista che prese il 2,93%, e l’estrema destra, i negazionisti della dittatura militare, Juan José Gómez Centurión del Frente Nos e José Luis Espert del Frente Despertar, rispettivamente con il 2,71% e 2,23% alle primarie.

 

Manifesto elettorale del Frente de Todos (Fernández-Kirchner) in una strada di Buenos Aires (foto di Gianluigi Gurgigno)

 

IL 19 SETTEMBRE SCORSO il presidente ha lasciato intendere che per ribaltare il risultato delle primarie si sarebbe dedicato più alla campagna che all’esercizio delle sue funzioni, svelando come avrebbe compiuto la prodezza: «Faremo 30 incontri in 30 città. Li chiameremo “la marcia del #SíSePuede“». Da quel momento Macri si è paragonato a San Martín, l’eroe argentino liberatore d’America che marciò attraverso le Ande per combattere i realisti spagnoli. E così il 28 settembre ha iniziato la campagna a Buenos Aires, il 30 ha proseguito nella sua provincia, il 1° ottobre a Cordoba, il 2 a Santa Fe, il 3 a Entre Ríos, il 4 nuovamente in provincia di Buenos Aires, il 5 a Mendoza, il 7 a Tucumán e il 10 a Salta.

SICCOME I NUMERI dell’economia non tornano, Macri ha preferito parlare di una sorta di crociata del repubblicanesimo contro il populismo. Ma mentre il presidente è in campagna, secondo la Banca Centrale, dalle primarie a oggi c’è stata una fuga del 37% delle riserve in dollari. Una caduta che acuisce la svalutazione del peso, che oggi vale 59 volte meno del dollaro. Inoltre la sospensione della sesta erogazione prevista del Fondo monetario internazionale (Fmi) ha tolto le speranze al governo di incrementare le riserve per affrontare le settimane pre-elettorali. La restrizione delle valute estere in un’economia in cui i prezzi dei prodotti alimentari sono dollarizzati incide sul processo inflazionario: secondo uno studio condotto da 45 tra centri di ricerca, entità finanziarie locali e estere per conto della Banca Centrale, l’inflazione totale nel 2019 sarà del 54,9% e il Pil farà registrare una caduta del 2,9%.

DURANTE IL DIBATTITO, Macri ha dovuto schivare i numeri dell’economia e ha preferito gli slogan da campagna. «Sono tornate le sbruffonate, il kirchnerismo non è cambiato» ha detto in conclusione. Fernández al contrario ha pescato a piene mani tra i numeri, ripetendo a ogni intervento che «il presidente non sa» riguardo ai dati. «Un ambito in cui il governo di Macri ha fallito completamente è l’economia – ha detto Fernández -. Quando terminerà il mandato ci saranno 5 milioni di nuovi poveri. Quando è arrivato al governo il rapporto deficit-Pil era del 38% e oggi è del 100%. Dei 39 miliardi di dollari che ci ha dato il Fmi ne sono fuoriusciti 30, portati via dai suoi amici». E ha terminato: «Ci hanno indebitati ancora, un’altra volta hanno lasciato la gente senza lavoro, un’altra volta hanno spinto la classe media verso la povertà. È quello che fanno ogni volta che arrivano al potere, e dopo ci fanno credere che ogni dieci anni gli argentini vanno a sbattere contro la stessa pietra. La pietra sono loro».

La metafora era già stata usata dal candidato giorni fa, davanti a centinaia di adolescenti in un liceo, in un incontro a cui partecipava l’ex presidente uruguaiano “Pepe” Mujica. Al termine, Fernández aveva detto che il dibattito televisivo «serve solo per far sì che i media ne parlino il giorno dopo». Ma davanti alle telecamere è riuscito a capitalizzare le debolezze della gestione del governo, con la tranquillità dei risultati delle primarie.

DA PAR SUO, MACRI ha incassato e ha continuato a mettere in risalto il suo modo di fare politica, così come fatto nei giorni scorsi, quando ha imitato Gesù baciando i piedi di una signora a Tucumán.
I candidati avranno una nuova opportunità sugli schermi, domenica prossima, di fronte a un’audience un po’ sfiancata che sembra suggerire che la fortuna abbia ben poco altro da dire.

 

Mauricio Macri al termine del “debate” stringe la mano a Nicolás del Caño, candidato del Frente de Izquierda. Sulla destra Alberto Fernández (foto Afp)

traduzione di Gianluigi Gurgigno